Mi chiamo Andrea Michele Vincenzo Ciro Pazienza, ho ventiquattr'anni, sono alto un metro e ottantasei centimetri e peso settantacinque chili. Sono nato a San Benedetto del Tronto, mio padre è pugliese, ho un fratello e una sorella di ventidue e quindici anni.

Disegno da quando avevo diciotto mesi, so disegnare qualsiasi cosa in qualunque modo. Da undici anni vivo solo. Ho fatto il liceo artistico, una decina di personali e nel '74 sono divenuto socio di una galleria d'arte a Pescara: "Convergenze", centro di incontro e di formazione, laboratorio comune d'arte. Sempre nel '74 sono sul Bolaffi. Dal '75 vivo a Bologna. Sono stato tesserato dal '71 al '73 ai marxisti-leninisti.

Sono miope, ho un leggero strabismo, qualche molare cariato e mal curato. Fumo pochissimo. Mi rado ogni tre giorni, mi lavo spessissimo i capelli e d'inverno porto sempre i guanti.

Ho la patente da sei anni ma non ho la macchina. Quando mi serve, uso quella di mia madre, una Renault 5 verde. Dal '76 pubblico su alcune riviste. Disegno poco e controvoglia. Sono comproprietario del mensile "Frigidaire". Mio padre, anche lui svogliatissimo, è il più notevole acquerellista ch'io conosca. Io sono il più bravo disegnatore vivente. Amo gli animali ma non sopporto di accudirli.

Morirò il sei gennaio 1984.
 
 

                                                                  (Andrea Pazienza da Paese Sera, 4 gennaio 1981)
 
 


Questa breve incursione on line dedicata al "Paz" nasce sull'onda della visita alla mostra a lui dedicata tenuta alla Triennale di Milano nell'inverno 1998 / 99. Chi scrive ha potuto vedere altre tre mostre dedicate a Pazienza. Quella tenuta dal Centro Fumetti Andrea Pazienza a Cremona nell'inverno 1991/ 92 e quella tenutasi presso lo Spazio Ansaldo a Milano, nel 1992 ed una esposizione di sue opere presso la Galleria d'Arte L'Affiche di Milano (se ricordo bene il nome). Il ricordo che ho della prima è particolarmente entusiasmante, un po' perché per me rappresentava il primo approccio con gli originali di un autore che avevo conosciuto soltanto sulle pagine di Comic Art e Frigidaire, un po' perché il clima di genuina passione che mi sembrava si respirasse nei locali del Centro dava la strana impressione che "tutto fosse appena successo".

Della seconda ricordo l'ottimo allestimento ed il percorso "multimediale" che guidava i visitatori. Le cronache narrano delle lacrime di fronte al video del Paz che disegna con una spatola su un muro una enorme composizione in bianco e nero rappresentante un leone che attacca un cavaliere, in un tripudio di animali e persone urlanti (al ritorno mi sono registrato un'intera cassetta con la colonna sonora del filmato, "Letters from Home" di Paul Methney).

La mostra tenuta alla Triennale si distacca - secondo me - dalle precedenti che ho visto. Non conosco bene l'aspetto "speculativo" che guida queste mostre (e che sicuramente è in agguato dietro ad ogni celebrazione) ma devo dire che per la prima volta ho avuto una diversa impressione. Sarà stata la soggezione del posto, luogo non trasgressivo o amatoriale bensì in qualche modo "ufficiale";  forse l'idea che ad undici anni di distanza alcuni tratti (la firma "APaz" per esempio) sono diventati veri e propri simboli di una certa cultura o forse ancora il distacco con cui oggi si riesce a guardare alle sue opere di satira, ricche di personaggi che oramai stanno uscendo dall'attualità (Karol Woityla è sempre papa e Craxi è ancora sulle pagine dei giornali ma che voglia avremmo tutti di vedere il Paz commentare a modo suo le figure di oggi?).

Accanto alla parete di ingresso su cui - come tanti foglietti volanti - sono raccolti alcuni schizzi (a dire che ci troviamo innanzitutto di fronte ad uno che disegnava d'istinto, per soddisfare una voglia, un bisogno urgente) il visitatore è messo subito di fronte ad alcune impressionanti tavole a colori (tra cui Pompeo, Donna sullo Squalo, Betta con Leopardo). Poi - girato l'angolo - un pannello con alcuni disegni di Paz bambino che illustra la fiaba di Pinocchio. Ad una prima occhiata niente di particolare: "Andrea Pazienza, 1959" recita la didascalìa. Eppure basta fare mente locale per un attimo e pensare che sono disegni di un bambino di tre anni e mezzo per restare a bocca aperta.

La mostra raccoglie tantissime opere, alcune inedite. Tutti i suoi personaggi, gli acquarelli del padre, i frammenti di un enorme pannello disegnato per una manifestazione poi subito distrutto ed infine due video. Le già citate riprese del disegno sul muro (qualità pessima, esisterà un originale in buono stato, vero?!) ed un illuminante collage di interviste da cui traspare un Paz incredibilmente vicino che spiega - incontenibile - che "io mangio tutti i giorni ma gli editori mi pagano dopo mesi" (come non ricordare la sua frase "Ho sempre pensato ai soldi subito prima e subito dopo aver disegnato qualcosa, mai durante"?), che si sistema sulla sedia, incapace di stare fermo di fronte ad un attonito intervistatore e che - alla richiesta di disegnare quello che voleva - rappresenta un emozionante Zanardi che guarda terrorizzato qualcosa di terribile oltre il foglio, attorniato da mostri feroci.

E chi di noi non avrebbe voluto farlo, se ne fosse stato capace?
 
 


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Andrea
 

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