6 Tevet 5768 - 15 dicembre 2007
Parashà Va-Iggash
Genesi, 44:18-47:27.
Da un mio contributo del dicembre 2004
Stiamo avviandoci non solo alla fine della vicenda di Giuseppe e dei suoi fratelli in Egitto, ma anche al momento della morte del patriarca Giacobbe. In pratica, con la Parashà della settimana prossima, si chiuderà il libro della Genesi (Bereshit) e si comincerà la lettura di quello dell'Esodo (in ebraico Shemot, che significa "Nomi").
Che cosa narra la vicenda della Parashà di questa settimana entrante ? Come scrive bene Reuven Hammer sul Jerusalem Post, questo brano è ricco di incontri umani, che possiamo vedere anche come dei confronti: Giuseppe e Giuda, Giuseppe e i suoi fratelli, Giuseppe e Giacobbe, Giacobbe e il Faraone.
La Parashà precedente si era chiusa su un drammatico scambio di parole tra Giuda e Giuseppe, che aveva teso un tranello ai fratelli facendo inserire una coppa per gli auspici nel sacco di Beniamino e aveva così detto ai fratelli accusati di furto (e a cui ancora non aveva rivelato la sua vera identità): "Colui in possesso del quale è stata trovata la coppa mi sarà schiavo, e voi tornate in pace da vostro padre".
La Parashà Va-Iggash si apre con un discorso, tra i più lunghi dell'intera Torah: Giuda infatti prende la parola e si rivolge a Giuseppe, proponendo che come suo schiavo sia proprio lui a rimanere, e non Beniamino. Giuda si era fatto garante presso Giacobbe dell'incolumità di Beniamino e dice a Giuseppe: "Pertanto rimanga il tuo servo in sostituzione del ragazzo, schiavo del mio signore, e il ragazzo parta con i suoi fratelli. Se no, come potrei presentarmi a mio padre senza avere il ragazzo con me ? Che io non veda il male che incoglierebbe a mio padre !".
Il brano continua così:
Giuseppe non potè più resistere dinanzi a tutti i presenti ed esclamò: "fate uscire tutti !". E nessuno rimase con lui quando si fece conoscere dai suoi fratelli. Proruppe in pianto; e gli Egiziani e la casa del Faraone lo udirono. Disse ai fratelli: "Io sono Giuseppe. Mio padre è sempre vivo ?". I fratelli non poterono rispondergli perché erano rimasti storditi davanti a lui. (1)
Nel suo discorso Giuseppe perdona i fratelli, e dice che ciò che è successo è stato un bene, un disegno voluto da Dio affinché egli potesse consentire alla sua gente di sopravvivere alla carestia e di provvedere ai bisogni di tutti.
È una Parashà densa di emozioni e di sentimenti. Una vicenda umana, anche se molto ricca di simboli.
Consiglio vivamente di leggere tutti i commenti che potete trovare come sempre nel sito www.torah.it e in modo specifico questi:
IO SONO JOSEF
link: http://digilander.libero.it/parasha/archivio%2058/5811.htm
Sulla rivelazione dell'identità di Giuseppe e la reazione dei fratelli.
FORSE MIO PADRE È ANCORA VIVO ?
link: http://digilander.libero.it/parasha/vecchie%20parashot/5911.htm.
In esso si cerca di dare un'interpretazione al perché Giuseppe chieda ai suoi fratelli se il padre Giacobbe è ancora in vita. Dagli scambi avuti in precedenza e anche dagli eventi che avevano preceduto quel momento, Giuseppe sapeva benissimo che il padre era ancora vivo: perché dunque pone quella domanda ?
La Haftarà di questa settimana è tratta da Ezechiele, 37:15-28. Il rapporto tra l'Haftarà e la Parashà di Va-Iggesh è descritto nel commento "Io sono Josef".
Nella Bibbia ebraica della Giuntina, il curatore rav Dario Disegni scrive: "Nella Haftarà [di Va-Iggesh] si annuncia per l'avvenire la concordia fra le tribù del regno di Israele, rappresentato specialmente da Efraim, figlio di Giuseppe, e quelle di Giuda, come nella Parashà si narra della riconciliazione tra Giuseppe e i suoi fratelli".
Amoha
(1): le traduzioni in italiano di questo passaggio variano a seconda della Bibbia che si prende in considerazione. Ho trovato ad esempio:
" Io sono Giuseppe; è mio padre ancora in vita ?" (Nuova Diodati)
"Io sono Giuseppe ! Vive ancora mio padre ?" (La Bibbia di Gerusalemme)
Quella che ho citato è tratta dalla Bibbia Ebraica della Giuntina.
Le variazioni come sempre dipendono dai diversi significati che la parola ebraica presente nel testo, o un segno grafico particolare, vuole imprimere alla narrazione.
Queste sottigliezze linguistiche e interpretative sono spiegate nel commento "Forse mio padre è ancora vivo ?". Credo comunque che il sempre adottato nella versione della Bibbia della Giuntina sia da sostituire con ancora.
Vedere anche:
[questi erano i link originari nel 2004, è possibile che ora non siano più attivi, ndAD, 18.12.2007]:
"ttp://www.jpost.com/servlet/Satellite?pagename=JPost/JPArticle/Printer&cid=1103170788633&p=1008596975996 (commento di Reuven Hammer)
"ttp://www.jpost.com/servlet/Satellite?pagename=JPost/JPArticle/Printer&cid=1103170788636&p=1008596975996 (di Shlomo Riskin)
"ttp://www.haaretz.com/hasen/objects/pages/PrintArticleEn.jhtml?itemNo=515617
(qui il commentatore, Naftali Gliksberg, emette un giudizio negativo sulla figura di Giuda, e lo fa basandosi su un midrash -un commento esegetico rabbinico- che ricostruisce un ipotetico dialogo tra Giuseppe e Giuda. A mio modesto avviso, l'interpretazione di Hammer, che indica in Giuda una figura di responsabilità e sensibilità, è molto più convincente e soprattutto aderente al testo).
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