14 Tevet 5769 - 10 gennaio 2009
Parashà Va-Ye'chi
Genesi, 47:28-50:26
La Haftarà di questa settimana è tratta dal I Libro dei Re, 2:1-12: sono le disposizioni di re Davide al figlio Salomone, con particolare insistenza sul rispetto della Legge. La connessione con quest'ultima Parashà della Genesi apparirà subito evidente.
Da un mio contributo del dicembre 2004
Con questa Parashà si chiude il libro della Genesi e l'epoca dei Patriarchi.
Proprio per il fatto di rappresentare una chiara separazione tra due epoche, questo brano della Torah è tra i più problematici e commentati. Esso conterrebbe infatti una profezia incompiuta: il patriarca Giacobbe (Israele) avrebbe dovuto descrivere ai figli alcuni avvenimenti futuri, ma si sarebbe poi limitato ad una personale benedizione e ad una forma di ammonimento e anche di augurio per il futuro.
La Parashà si apre con le parole:
Giacobbe visse [Va-Ye'chi] in terra d'Egitto diciassette anni: tutta la sua vita fu di centoquarantasette anni.
Un aderente ha chiesto in questo forum se l'indicazione delle età nell'epoca biblica (spesso incredibili ai nostri occhi) abbiano dei significati simbolici: il testo sembra rivelarci proprio questo, anche se possiamo vedere come arrivati ad Abramo la durata della vita si sia drasticamente ridotta rispetto ai tempi di Matusalemme !
Notiamo comunque l'enorme cura nello specificare le età dei protagonisti e i nomi della discendenza. La numerologia, nella Parashà di questa settimana, è ad esempio molto importante per tessere le fila del viaggio che ebbe inizio ad Ur in Caldea con Abramo, il primo patriarca.
Penso sia interessante tentare di riassumere gli eventi che hanno portato i figli di Israele in Egitto, cercando di cogliere quei momenti fondamentali che hanno originato una stirpe che poi diventerà un popolo.
Abbiamo detto di Abramo. Abramo è a capo di un'importante tribù. Possiamo affermare che è una persona agiata e rispettata. Egli risponde ad una chiamata del Signore, ossia:
Va' via [Lech Lechà] dal tuo paese, dal tuo parentado, dalla tua casa paterna, al paese che ti indicherò.
Non è forse straordinario quell'imperativo, Lech Lechà ?
Questo avviene ad Haran. Abramo ha 75 anni. Egli parte verso la terra di Canaan ed arriva a Sichem, dove costruisce un altare per il Signore, perché lì l'Eterno gli è apparso dicendogli: "Ai tuoi discendenti darò questa terra".
Abramo e la sua tribù devono poi lasciare la terra di Canaan a causa di una carestia e si recano in Egitto. Apprendiamo che Abramo riparte ricchissimo da quel Paese e si dirige verso il Negev. Con lui c'è Lot, ed essendo entrambi molto ricchi (di bestiame, oro e argento) nasce discordia perché si rendono conto di non poter abitare assieme nello stesso luogo. Abramo e Lot si separano: il primo si stabilisce nella terra di Canaan, il secondo nelle città della pianura del Giordano (pianta le tende fino a Sodoma).
In Genesi, 15:13, il Signore dice ad Abramo:
Sappi che i tuoi discendenti dimoreranno, stranieri, in un paese non loro, che li asserviranno e li opprimeranno per quattrocento anni.
Da quando vanno contati i 400 anni ? Secondo il più importante commentatore della Torah, Rashì (che conosceremo in un prossimo contributo), essi vanno contati da Isacco, il figlio di Abramo e Sarah. Perché questo ? È un'interpretazione del verbo ebraico che corrisponde a "soggiornare, dimorare" e che dà vita al termine ger (che significa "straniero").
Possiamo considerare tutti quei 400 anni come momenti di oppressione e di asservimento ? Dal testo si deduce che Abramo e la sua discendenza sono itineranti: si spostano per le carestie, per l'ostilità delle genti confinanti, per discordie familiari. A poco a poco, ci rendiamo conto che stiamo parlando essenzialmente di un gruppo familiare esteso che si sta trasformando e caratterizzando attraverso molte prove, ma soprattutto nel legame con il Dio Unico.
A che età muore Sarah ? A 127 anni. Per la sepoltura della moglie, Abramo compra, dopo una lunga trattativa, la grotta di Machpelà e il campo circostante, posti di fronte a Mamré (Hebron). Questa è una proprietà di Abramo, ed è un fatto da tenere sempre bene a mente, perché nel continuo vagare, quel luogo di sepoltura resterà il punto di riferimento per i discendenti di Abramo.
Abramo ebbe due figli, Ismaele (dall'egiziana Hagar) e Isacco (dalla moglie Sarah). Di loro ci ricordiamo bene, ma spesso ci si dimentica che l'iniziatore di questa vicenda di fede, alla morte di Sarah, prese con sè una concubina, Keturà, che gli diede: Zimran, Jokshan, Medan, Midian, Ishbac, Shuach.
Sappiamo che, per volontà di Sarah, Hagar e Ismaele furono allontanati dall'accampamento di Abramo. Il Signore disse ad Hagar di non preoccuparsi, perché Egli avrebbe provveduto a loro e da Ismaele sarebbe disceso un grande popolo.
Il testo dice poi (grassetto mio):
Abramo diede tutto quello che possedeva ad Isacco. Ai figli delle sue concubine fece dei doni e, mentre era vivo, li mandò lontano da suo figlio Isacco verso levante nel paese orientale [forse ad oriente del Mar Morto]. Gli anni della vita vissuta da Abramo furono centosettantacinque. Abramo finì la vita e morì in vecchiezza avanzata, vecchio e soddisfatto, e si riunì alla sua gente [si intende che si riunì dopo la morte ai suoi antenati]. Isacco e Ismaele suoi figli lo seppellirono nella grotta di Machpelà nel campo di Efron, chitteo figlio di Tsochar, di fronte a Mamré, nel campo che Abramo aveva comprato ai Chittei; là furono seppelliti Abramo e Sara sua moglie. Dopo la morte di Abramo, Dio benedisse suo figlio Isacco. Isacco abitò presso Beer-lachaj-roì.
Questa è la discendenza di Ismaele figlio di Abramo che l'egiziana Hagar schiava di Sarah partorì ad Abramo. Questi i nomi dei figli di Ismaele, secondo l'ordine in cui nacquero: primogenito di Ismaele, Nevajoth, poi Kedar, Adbeel, Mivsam, Mishma, Dumà, Massà, Chadad, Temà, Jetur, Nafish e Kedma. Questi sono i figli che abitavano in villaggi e in accampamenti; e questi i loro nomi; erano dodici capi di altrettante nazioni. Gli anni della vita di Ismaele furono centotrentasette; finì la vita, morì e si riunì alla sua gente. I suoi figli si stabilirono da Chavilà fino a Sciur che è di fronte all'Egitto verso l'Assiria. Così Ismaele venne a stabilirsi di fronte a tutti i suoi fratelli.
(Genesi, 25: 5-18).
Abbiamo qui alcuni dati e fatti di rilevante importanza: innanzitutto Abramo ha comprato la grotta di Machpelà e il campo circostante, dopo una trattativa commerciale; se ad Ismaele e alla sua discendenza ha provveduto il Signore, Abramo provvede a passare la proprietà dei suoi beni al figlio Isacco, e tra questi beni vi è la grotta; Dio benedice Isacco, e sappiamo ora con certezza che egli è il prescelto per un destino particolare; da Ismaele discendono dodici figli, che saranno a capo di altrettante nazioni. Vediamo anche come questi siano dei racconti imperniati sulla separazione.
Riprendiamo la numerologia per capire meglio questo concetto di separazione.
Abramo riceve la sua chiamata all'età di 75 anni. Il testo lascia intendere che egli è vissuto con il padre Terach per tutto quel periodo, prima di separarsi da questi e intraprendere il proprio cammino verso una fede ed una terra nuove. Capiamo anche che questi legami familiari e parentali sono molto forti, e che i figli onorano i padri, riconoscendo loro un'autorità rilevante.
Isacco nasce quando Abramo ha 100 anni. Abramo muore all'età di 175 anni. Dunque Isacco resta con il padre, onorandolo, per 75 anni, proprio come Abramo aveva fatto con Terach.
Torniamo alla Parashà di questa settimana. Il suo inizio colpisce moltissimo, perché viene detto che Giacobbe visse in Egitto, nel paese di Goscen, per 17 anni. Visse, non soggiornò. Perché questo ? Perché Giacobbe rimase in Egitto, una terra straniera ed idolatra, pur continuando a seguire pubblicamente la fede dei padri. Era una condizione di esilio, ma questa volta con un tassello in più, di orgoglio e dignità fino alla fine, ribaditi da questa richiesta al figlio Giuseppe:
"Se mi vuoi bene poni la mano sotto la mia coscia: dammi una prova di bontà e fedeltà; non seppellirmi in Egitto ! Quando giacerò con i miei padri [alla morte], portami via dall'Egitto e seppelliscimi dove essi son sepolti". E Giuseppe: "Farò come dici tu". "Giuramelo", disse Giacobbe. Egli giurò, e Israele si inchinò a capo del letto [in segno di ringraziamento].
Giacobbe ha già conosciuto una forma di esilio, una separazione forzata: quella dal padre Isacco, per sfuggire all'ira del fratello Esaù a cui aveva sottratto la benedizione spettante al figlio primogenito.
Quanto durò questa separazione ? 22 anni. È lo stesso numero di anni della separazione tra Giacobbe e il figlio Giuseppe, che fu venduto come schiavo dai fratelli all'età di 17 anni. Giacobbe poté occuparsi di Giuseppe solo per 17 anni, e poi in Egitto per 17 anni è stato Giuseppe ad occuparsi dell'anziano padre.
Consideriamo ora il momento del decesso di Giacobbe-Israele. Dopo aver fatto promettere a Giuseppe che la sua sepoltura sarebbe stata a Hebron, Giacobbe si avvia alla fine della sua vita terrena. Si ammala, e al suo capezzale viene chiamato Giuseppe, che arriva con i figli Menashé e Efraim.
Giacobbe innanzitutto tiene a spiegare a Giuseppe perché sua madre Rachele non sia stata seppellita nella grotta di Machpelà e si trovi invece a Betlemme. Nella Parashà Va-Ishlach abbiamo letto che Rachele morì nel dare alla luce Beniamino, durante il viaggio che da Beth-El (dopo la lotta di Giacobbe con l'angelo misterioso) doveva condurre la tribù di Giacobbe a Efrath. (Se vi recate in Terra Santa, oggi trovate Betlemme nel territorio dell'Autorità Nazionale Palestinese, così come Hebron. Invece quello che è considerato il luogo di sepoltura di Rachele è in territorio israeliano, si chiama Ramat Rachel, e lì sorge uno dei più bei kibboutzim d'Israele, dal nome omonimo. Betlemme viene dall'ebraico Beth Lechem, la casa del pane).
Giacobbe riserva dunque una speciale benedizione al figlio Giuseppe e ai nipoti Efraim e Menashé, che da lì in poi saranno considerati come suoi figli, con uno status di eccezionale importanza.
A Giuseppe diede questa benedizione: "Dio dinanzi al quale camminarono i miei padri Abramo e Isacco, Dio che prese cura di me da che venni al mondo fino ad oggi; il messo divino che mi liberò da ogni male benedica questi ragazzi, siano chiamati col mio nome e con quello dei padri miei Abramo e Isacco, abbiano sulla terra numerosa discendenza".
E poi ad uno ad uno, ecco gli altri figli di Giacobbe che ricevono la benedizione paterna, ma anche la descrizione dei loro caratteri, con pregi e difetti, e con anticipazioni di ciò che sarà il loro futuro.
Leggiamo che Giacobbe ha parole dure per Simeone e Levi, che sono violenti e hanno ucciso in modo disdicevole in occasione della vicenda della sorella Dina; e per Reuven il primogenito, che aveva disonorato il padre e una delle concubine di questi, Bilah.
Abbiamo invece parole orgogliose per Giuda:
A te, Giuda, tributeranno omaggio i tuoi fratelli, la tua mano sarà sulla cervice dei tuoi nemici, si prostreranno a te i figli di tuo padre. Tu, Giuda, sei un lioncello quando torni, o figlio mio, dalla preda. Allorché egli se ne sta chino, coricato come un leone, chi oserebbe farlo alzare ? Lo scettro non si dipartirà da Giuda né il bastone del comando di fra i suoi piedi fino che verrà il Messia verso il quale convergerà l'ossequio dei popoli.
Il riferimento è a re Davide, della tribù di Giuda, e alle sue guerre vittoriose, e poi al periodo del regno di Salomone, figlio di Davide. Lo scettro rimarrà alla discendenza di Davide, anche dopo l'esilio, sia in Palestina, sia a Babilonia.
Queste sono le ultime disposizioni di Giacobbe:
"Io sto per riunirmi alla mia gente; seppellitemi presso i miei padri nella grotta che è nel campo del chitteo Efron; nella grotta che è nel campo di Machpelà di fronte a Mamré in terra di Canaan, nel campo che di cui Abramo acquistò dal chitteo Efron la proprietà ad uso di sepoltura. Là seppellirono Abramo e sua moglie Sara, là seppellirono Isacco e sua moglie Rebecca, là ho seppellito Leah. L'acquisto del campo e della grotta che in esso si trova avvenne presenti i Chittei". Quando Giacobbe ebbe finito di dare le disposizioni ai suoi figli, ritrasse i piedi dentro il letto, cessò di vivere e si riunì alla sua gente.
Giuseppe deve dunque rispettare la promessa fatta al padre, ma per poter dare esecuzione alle ultime volontà di Giacobbe deve chiedere il permesso al Faraone, che gli concede di recarsi nella terra di Canaan accompagnato dai fratelli, dai suoi ministri, da dignitari di corte e personaggi importanti del Paese d'Egitto. L'Egitto osserverà infatti settanta giorni di lutto, al termine dei quali Giuseppe parte per seppellire il padre e osservare ancora sette giorni di lutto familiare.
Questa Parashà, e il Libro della Genesi, si conclude così:
Giuseppe rimase in Egitto e con lui la famiglia di suo padre. Giuseppe visse centodieci anni. Vide di Efraim i figli della terza generazione; anche i figli di Machir figlio di Menashé nacquero sulle sue ginocchia. Giuseppe disse ai fratelli: "Io son vicino a morire, ma Dio si ricorderà di voi e vi farà trasferire da questo paese alla terra che giurò ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe". Poi Giuseppe fece giurare ai figli d'Israele dicendo: "Quando Dio si ricorderà di voi, porterete via di qui le mie ossa". Giuseppe morì a centodieci anni, lo imbalsamarono e lo posero in un sarcofago in Egitto.
Qui bisogna affidarsi ad alcune interpretazioni per capire per quale ragione Giuseppe, vice-re d'Egitto chiede alla sua famiglia di trasportare le proprie ossa "quando Dio si ricorderà di voi".
Sembra di capire che la situazione dei figli di Israele sia peggiorata e che non siano in grado di lasciare l'Egitto di loro iniziativa, e tantomeno di portare immediatamente il corpo di Giuseppe a Hebron, assieme ai patriarchi.
La morte di Giacobbe ha portato l'oscurità, una situazione di asservimento che a poco a poco diverrà schiavitù in terra d'Egitto. Ecco la profezia incompiuta, la presenza divina che si allontana e che non consente l'immediata redenzione, il ritorno dei figli di Israele nella terra di Canaan. Nell'esegesi ebraica, questa Parashà è detta stumà, ovvero chiusa, perché graficamente il testo ebraico non conosce distinzione dal brano precedente e perché la profezia è oscurata. La generazione seguente a quella di Giacobbe avrebbe dovuto rientrare nella terra di Canaan ma non sarà così, e mentre Giacobbe rivolge le benedizioni ai suoi figli, la presenza divina lo lascia. La redenzione è rimandata.
Cosa accade qui ? È come se si fosse aperta la dicotomia tipica dell'ebreo diasporico, dell'ebreo della galut (esilio), che è incarnata da Giuseppe, il quale nonostante tutto deve chiedere il permesso al Faraone per poter lasciare l'Egitto e seppellire Giacobbe a Hebron. Alla sua morte, i suoi eredi non potranno fare altrettanto. Sono stranieri, e stanno già in una condizione che si degrada a poco a poco, fino alla schiavitù.
Se Giacobbe è l'ebreo orgoglioso che durante la presentazione al Faraone non sembra provare timore per la propria persona ed identità, per la propria fede che continuerà ad esprimere pubblicamente fino alla fine, Giuseppe, il figlio prediletto, è invece scisso tra la condizione di origine e quella creata in Egitto, che a poco a poco lo trasforma in servo. Uno straniero era e uno straniero rimane, nonostante gli onori (cfr. Shlomo Riskin, Jerusalem Post, "When slavery begins").
Torniamo alle persone che hanno costruito la grande famiglia di Israele. Abbiamo più volte verificato che ci troviamo di fronte ad esseri umani che stabiliscono tra di loro relazioni, alle volte complicate e drammatiche. Ci sono decisioni da prendere, gesti da compiere, responsabilità da assumere. Da Abramo in poi sappiamo che tutte queste persone, a livelli diversi, sono animate da una fede che ne forgia l'identità personale e di gruppo.
Se dunque ripercorriamo il viaggio intrapreso da Abramo, l'iniziatore della fede ebraica, ci rendiamo conto che abbiamo dei concetti su cui riflettere ancora a lungo, anche in chiave contemporanea. Non si tratta solo di un viaggio geografico, ma anche e soprattutto spirituale.
Come splendidamente spiega Naftaly Gliksberg in Ha'aretz, questo è un viaggio interiore per la definizione di identità culturali, personali e familiari di fronte alle alternative. I percorsi dei patriarchi sono diversi tra loro, perché diverse sono state le modalità con cui hanno affrontato la realtà.
Abramo si è confrontato innanzitutto con la cultura di origine, una cultura di idolatria, e poi anche con il mondo esterno. Quello di Abramo è un viaggio molto emotivo e spirituale, perché risponde ad una chiamata che sembra incredibile. Abramo compie un percorso di individuazione verso una nuova fede, un nuovo modo di sentire e capire il mondo. La sua è una conversione, tutto sommato. È un dare inizio a qualcosa che non c'era prima, che segna un prima e un dopo, un passato e un futuro.
Abramo diventa Abraham l'Ebreo, così come viene chiamato ad un certo punto nel libro della Genesi, dopo la separazione da Lot e le promesse dell'Eterno per la sua discendenza. Abraham stringe un patto con l'Eterno e lo afferma con la circoncisione. Abraham sa di dare inizio ad una nuova storia, la storia di una moltitudine di nazioni e di una discendenza particolarmente benedetta tra tutte le nazioni.
Isacco, che non ha mai lasciato la terra di Canaan, si è ritrovato ad affrontare problemi di natura personale e familiare, dapprima con la nuova fede del padre, e poi con il fratello Ismaele, il figlio di Hagar l'egiziana. Isacco è la prova vivente della fede del padre, del patto di questi con l'Eterno.
Giacobbe ha dovuto confrontarsi con il fratello Esaù e poi con il suocero Labano. Inoltre ha dovuto compiere il viaggio in Egitto e confrontarsi con la cultura da esso proposta. Alcuni figli di Giacobbe, come Simeone e Levi, non sono stati capaci di venire a compromessi intelligenti, come nella vicenda di Dina, preferendo la violenza. In generale, i figli di questo patriarca, trovatisi di fronte ad un Altro per eccellenza nientemeno che nella persona del fratello minore Giuseppe, non hanno trovato di meglio da fare che venderlo come schiavo.
Giacobbe riserva a Giuseppe e ai figli di questi Efraim e Menashé una benedizione speciale perché sa che Giuseppe è colui che ha saputo gestire meglio le sfide, non solo mantenendo la fede in Dio e il ricordo della famiglia di origine, ma dando il meglio di sè in un ambiente straniero, pur essendo completamente solo.
Giuseppe è l'Altro: lo è stato per il padre, nel senso del migliore dei suoi figli; per i fratelli, nel senso di un'eccellenza che hanno invidiato e disprezzato; in Egitto, dove è lo straniero che ha potuto diventare importante, ma che rimane comunque straniero.
In Egitto sembrano dissolversi le discordie che hanno tormentato la famiglia ebraica: viene ritrovata l'unità, il senso dei legami e di un destino comune. Giacobbe, decidendo di dare ad Efraim la benedizione che sarebbe spettata al primogenito di Giuseppe, ci fa capire una volta di più che non c'è niente di scontato in quelle che sembrano vie naturali, come la primogenitura, ma che si deve andare alla ricerca dell'Altro, di colui che tramite le proprie qualità, convinzioni ed azioni, merita la nostra attenzione, ammirazione e il nostro rispetto. È un paziente lavoro di costruzione, in cui l'identità personale e di gruppo non può che emergere con forza ed orgoglio. Bisogna riconoscere l'Altro e l'Altrove, oltre le apparenze.
In modo paradigmatico, continua ad essere questo il motivo ricorrente della storia di Israele: Israele è sempre l'Altro, che si distingue per la sua fede, per le sue convinzioni, per la sua eredità morale. Un percorso solitario, difficile, che si illustra con il fatto di corrispondere ad una missione del tutto particolare: la testimonianza di una fede e del messaggio che essa porta con sè. Un popolo piccolo, ma maestoso e tenace, che procede sempre verso un Altrove e sempre riesce a superare le prove che la vita e l'incontro/scontro con il mondo circostante gli riserva. Costruisce una direzione sua propria, un percorso alternativo, con cui sembra rifiutare l'uniformità, l'omogeneità, quel dissiparsi in ciò che sembra più forte e potente e che può rendere schiavo.
Alla fine del Libro della Genesi, siamo ora in presenza di un nucleo, quello della famiglia di Israele. Nel prossimo Libro ritroveremo un popolo che lotta per la propria libertà.
AD
Nota:
Se volete visualizzare con alcune mappe i luoghi e i percorsi che sono descritti nel libro della Genesi, andata a questo link: http://www.searchgodsword.org/se/pbm/browse.cgi?st=1&pn=1
Per approfondire i temi di questa Parashà, mi sono avvalsa di questi documenti:
http://www.jpost.com/servlet/Satellite?pagename=JPost/JPArticle/ShowFull&cid=1103776317218
http://www.jpost.com/servlet/Satellite?pagename=JPost/JPArticle/ShowFull&cid=1103776
http://www.haaretz.com/hasen/objects/pages/PrintArticleEn.jhtml?itemNo=518441
http://www.torah.it/indici/12/indici.htm
http://www.yhol.org.il/parsha/5760/vayechi60.htm
http://www.torah.org/learning/beyond-pshat/5763/vayechi.html
http://www.col.fr/IMG/_article_PDF/article_416.pdf
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