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Home Page  •  Rete Civica di Milano  •  Rete Cittadini Milano - home  •  Alessandro Rizzo LD  •  Message
 
  Friday 25 February 2005 20:01:38  
From:
Alessandro Rizzo   Alessandro Rizzo
 
Subject:

presentazione: RINASCI LOMBARDIA! CAMBIARE IL VENTO IN REGIONE SI PUO'

 
To:
Alessandro Rizzo LD   Alessandro Rizzo LD
 
RINASCI LOMBARDIA

CAMBIARE IL VENTO IN REGIONE PER UN PROGETTO ALTERNATIVO DI SOCIETA'


Portare il vento del cambiamento in Lombardia per ridare fiducia, speranza e voglia di riscatto di una Regione gestita da 10 anni di affarismo aziendalista e di logica corporativistica e consociativa, soffocante l'incentivazione delle risorse sociali, economiche e culturali verso una democrazia compiuta, è possibile se si parte da un'idea di progetto alternativo, altro e alto a livello etico e civile e se si considera centrale l'esigenza di rendere possibile la partecipazione di tutte e di tutti i soggetti politici e sociali alla realizzazione di un programma. Alla realizzazione del programma del cambiamento. Per questo invito tutte e tutti le cittadine e i cittadini che leggeranno la presentazione al presente forum di dare un contributo forte e reale alla realizzazione di un luogo di confronto attivo, dinamico, dove le esperienze, le riflessioni e i consigli possano arricchire il progetto politico del cambiamento, dell'alternativa per un'altra Lombardia possibile in quanto necessaria. Mi presento alle prossime elezioni regionali del 3/4 aprile nella lista del Partito dei Comunisti Italiani, che sostiene Riccardo Sarfatti alla Presidenza della Regione: questa scelta è stata ponderata con l'analisi dell'opportunità di portare avanti un programma di rinnovamento e di alternativa civile e politica di alto contenuto sociale. La speranza del cambiamento non deve tramontare e non è tramontata in Lombardia: nella regione guidata dalla fallimentare gestione amministrativa pubblica che ha dilapidato il bilancio pubblico, che ha visto i rapporti internazionali in funzione di un tornaconto economico imprenditoriale, che ha considerato il patrimonio pubblico come espressione di una ricchezza personale o ristretta di gruppo, appartenente a una corporazione, la voglia di voltare pagina defintivamente è immensa e con questa volontà mi propongo per dare a essa contenuto e forma, che si indirizzi verso la realizzazione di un modello di sviluppo diverso e antitetico. Ma non voglio parlare contro a qualcosa di già predefinito: voglio parlare a favore di una proposta possibile e realizzabile di governo amministrativo e politico di una realtà, quale quella lombarda, ricca di risorse, di opportunità e punto nodale culturale e sociale di rilevante pregio a livello non solo nazionale, ma europeo e mondiale. In Lombardia convogliano grandi ricchezze patrimoniali e umane, e queste grandi ricchezze non devono essere sperperate ma, bensì, devono essere oggetto di incentivazione sociale e di una giusta ed equa redistribuzione, per un'eguaglianza sostanziale delle cittadine e dei cittadini, per l'inclusione culturale e il confronto interetnico e interreligioso di stampo laico, per la costituzione di una società molticulturale, dove la diversità diventa ricchezza e diventa punto di inizio di un processo democratico basato sulla partecipazione e sulla pari dingitià e pari opportunità. Una Lombardia diversa parte da questi presupposti valoriali, ma non con una concezione di stampo etico moralistico, bensì, con un proponimento di carattere sociale e civico  di miglioramento della comunità e delle sue condizioni di vita: per questo invito tutte e tutti le lettrici e i lettori a prendere parte a questo confronto perchè considero che un programma e una proposta debba essere fatta con il concorso di tutti, senza preclusioni alcune e senza pregiudizi. Solo così è possibile cambiare il vento in Lombardia e creare la società della partecipazione, come forma primaria ed essenziale della politica attiva e propositiva.

Una Regione promotrice di pace e di solidarietà;

La regione Lombardia può e deve cambiare il ruolo politico assunto a livello internazionale da un livello di impostazione meramente commerciale e di utilizzazione delle opportunità di sfruttamento delle risorse naturali dei paesi in via di sviluppo per fini di arricchimento interno, il famoso rapporto estero di cooperazione interessata che l'attuale giunta ha intessuto con i Paesi dell'area mediorientale, a un rapporto di promozione di cultura, confronto interetnico e internazionale, volto ad acquisire la fattispecie di Regione per la pace, per la diplomazia e promotrice di solidarietà e di eguaglianza tra i popoli, tra gli stati, tra i cittadini del mondo. A questo proposito si inserisce con forte rilevanza la risposta di marcata denuncia positiva e propositiva dell'Ente locale alla grave violazione governativa dell'Articolo 11 della nostra Costituzione Repubblicana, secondo cui si statuisce nei rapporti interstatali il principio e il concetto del primato della politica, della diplomazia, nella risoluzione delle controversie, nel rispetto reciproco delle identità culturali, sociali e religiose dei popoli considerati. La Regione Lombardia può diventare, in riferimento alle esperienze di altre regioni italiane, come ad esempio la Toscana e come l'Umbria, luogo di formazione alla pace e alla diplomazia partecipata, al fine di rendere attuativo in territorio il principio statuito dall'articolo 11 della Costituzione e al fine di contrastare positivamente la logica colonialista della sopraffazione militare da parte delle forze egemoni e imperanti dei popoli liberi e deboli. In questo senso occorre quindi creare il cambiamento possibile e necessario con forme istituzionali, amministrative e legislative regionali che diano contenuto a questo cambiamento e lo possano rendere attuativo e possibile. Pertanto, su esempio di esperienze già attuate a livello nazionale, è possibile destinare nelle finanziarie regionali un capitolo dedicato ai cosidetti "bilanci di pace", ossia a quelle disposizioni amministrative che finanziano esperienze di diplomazia di base, partecipata, popolare che danno valore aggiunto alla risoluzione pacifica e politica dei conflitti esistenti a livello internazionale, che prevengano, infine, forme di radicalizzazione del conflitto, sfociante in una contrapposizione armata e bellica, strumentalizzata da sempre dai poteri economici, commerciali e istituzionali, che possono, così, ricavare dalla scontro il controllo illegittimo delle risorse locali. Nel bilancio grande spazio può essere indirizzato in loco alle seguenti voci di spesa e di investimento politico: costituzione di spazi di confronto dove la logica della pace e della promozione della pace divengano portanti elementi formativi delle coscienze civili; corsi di educazione a un consumo di pace, costituito dalla coscienza ciritica della scelta nell'ambito della propria spesa personale e quella collettiva e della razionalizzazione dell'utilizzo dei prodotti, dal riciclaggio all'investimento sul valore d'uso dei medesimi; forme di nuova partecipazione plurale e pubblica alla gestione delle risorse amministrative ed economiche locali, con l'istituzione di bilanci partecipati e sociali, indirizzati soprattutto all'inclusione sociale, alla promozione del confronto, del dialogo, dell''interazione e alla costituzione di un principio di sicurezza sociale come forma di convivenza civile tra i cittadini e i nuovi cittadini immigrati, e indirizzati a creare luoghi  di educazione ai diritti umani e al rispetto della diversità. La scuola può determinare il gioco di un rilevante contributo in  funzione della creazione di rapporti di gemellaggio tra stati e paesi e di condivisione di percorsi di interscambio culturale e politico sociale, con risvolti di sostegno economico a iniziative congiunte e arricchenti a livello di esperienza formativa e civica entrambe le realtà messe a confronto. La Regione a livello istituzionale consiliare può votare delibere e atti regionali che intendano recepire i principi di solidarietà, pace, diplomazia ed eguaglianza tra i popoli come elementi principi di una propria programmazione politica di intervento e di linea guida generale e universale sul tema considerato, nonchè l'intento di proporre, e attivarsi di conseguenza a renderla possibile in tutte le forme e in tutti i contesti istituzionali, la costruzione di un'Europa di pace, nonchè, infine, la recezione dei valori espressi nell'articolo 11 della Costituzione, come elemento principe del proprio Statuto, confermando la titolarità primaria dello stato in tema di politiche internazionale.

Una Regione per la cultura e luogo di comunicazione partecipata

Il diritto alla comunicazione è uno dei diritti fondamentali di uno stato democratico: dare voce al libero pensiero e all'espressione della propria identità ideale e sociale del cittadino, di qualsiasi ambito culturale, etnico, religioso ed economico. In Italia la comunicazione massiva è lontana dalle esigenze reali della cittadinanza: presenta un modello antitetico rispetto a quello esistente, inganna e monopolizza omologando le coscienze, definisce e determina una standardizzazione di valori che sono connaturabili con il consumismo, l'individualismo e l'affarismo, decretando l'espulsione di qualsiasi concetto alternativo di società e di libero ideale.
La Regione Lombardia può apportare un cambiamento incisivo in questo settore. Il monopolio del controllo della comunicazione e dell'informazione massiva è accentrato in un unico soggetto, che determina il controllo del potere istituzionale e amministrativo e quello di direzione economica dei maggiori canali di informazione massiva: un indecente conflitto d'interessi, che deve essere combattuto ed eliso tramite un'adeguata legislazione coerente. Ma in Regione qualcosa è possibile cambiare in positivo,
approvando leggi regionali e regolamenti che possano costituire una reale possibilità alla comunità di essere coinvolta nel processo partecipativo a livello comunicazionale e informativo. Modelli europei che possano dare concreto esempio per costruire questo modello esistono soprattutto negli stati dove si riscontra un alto tasso di democrazia partecipativa, reale e sostanziale, come quelli scandinavi, come l'Olanda o il Belgio, oppure, infine, come la Spagna, la quale, da pochi anni, ha determinato una forte cooperazione tra enti amministrativi pubblici locali e realtà organizzate a livello associativo-movimentistico, garantendo la nascita di "televisioni comunitarie" dove la partecipazione reale dal basso, dalla comunità locale, a tutti i livelli, dal quartiere al municipio, dalla provincia alla regione, diventa la caratteristica strutturante e portante del progetto. Il principio è quello tipico del "media attivismo" in cui si cresce in formazione civile e culturale coloro che partecipano al progetto e dove si può creare un nuovo rapporto di rappresentatività tra istituzioni locali e società civile. Gli spazi così creati potrebbero avere una regolamentazione regionale che concepisca come fondamentali i valori dell'autonomia, dell'autogestione economica e direzionale coopartecipata tra comunità, soggetti politici e sociali e istituzioni, della forte cooperazione pubblica, in cui l'Ente locale, la Regione, sia il maggiore finanziatore, unico soggetto garante del pluralismo e della non ingerenza nell'ambito decisionale dei contenuti comunicazionali che vengono proposti. In questo senso sarebbe utile istituire corsi di formazione alla "lettura dei media", che abbia come parte fondamentale l'acquisizione, da parte della comunità e dei soggetti civili coinvolti e interessati, delle parti costituenti l'alfabetizzazione mediatica, con la corrispettiva conoscenza del funzionamento delle nuove tecnologie informative, del carattere etico della comunicazione, costituito dalla proposizione di valori di stampo pacifista, sociale solidariastico e internazionalistico, al fine di costituire, tramite la partecipazione, una reale crescita valoriale di carattere laico dell'utente, che diventi, allo stesso momento, potenziale promotore dell'informazione, soggetto attivo di informazione. Per raggiungere questa finalità occorre investire in convenzioni con le scuole di ogni ordine e grado per crescere culturalmente i futuri cittadini, fin dall'inizio, nella lettura/utilizzazione/creazione degli spazi di comunicazione. E' impotante che la televisione comunitaria regionale sia raccordo e coordinamento tra le diverse televisioni comunitarie e che divenga stimolo di contenuti differenti e di un luogo di un confronto attivo informativo proponitore di temi sociali, civili e culturali di alto livello e di stampo generale, investendo sugli elementi strutturali dell'informazione locale e sulla comunicazione delle istanze collettive a livello zonale, di quartiere, municipale: il concetto del network è basilare e propedeutico al raggiungimento di questo fine. E' un sistema interagente con spazi di contemporanea informativa e di messa in onda concordata di elementi del palinsesto, arricchenti le espressioni dei diversi livelli informativi.

Una Regione della cultura antifascista come spirito identitario collettivo.

L'antifascismo è lo spirito unitario e identitario del nostro Paese e dell'Europa futura politica, luogo di convivenza civile e di incontro interculturale e solidale tra i popoli. Dall'antifascismo derivano i principi e i valori fondanti della nostra cultura costituzionale repubblicana, la quale è stata determinata dall'impegno di combattenti per la libertà e per l'indipendenza del popolo italiano contro l'occupazione omicida nazista e la repressione fascista genocida e sanguinaria. Proprio per questo è importante che, in collegamento con i principi fondanti la Costituzione Repubblicana, la Regione Lombardia operi un cambiamento di impostazione delle priorità culturali di promozione ideale e sociale dei principi forti che costituiscono la nostra Repubblica e la sua connotazione antifascista, promotrice di pace e di progresso. Il revisionismo dilagante incancrenisce la parte fondante di questo patto intergenerazionale e questo lungo filo rosso che unisce le coscienze civili, le quali universalmente concepiscono come prioritari i valori e i principi culturali antifascisti, in quanto presupposti di miglioramento delle condizioni umane e come fautori di un cambiamento necessario perchè possibile. La Regione Lombardia dichiari espressamente la condanna dura e forte agli attentati che il revisionismo dilagante in sede governativa opera nei settori istituzionali e sociali del Paese, nella logica unica di destrutturare le conquiste di democrazia progressiva connaturate con la Lotta di Resistenza e di Liberazione. L'ANPI e le associazioni Partigiane italiane sono state oggetto di una negazione brutale e illegittima, da parte dell'attuale maggioranza di destra, dei giusti finanziamenti che potessero garantire lo svolgimento delle celebrazioni per il 60° Anniversario della Liberazione, momento di memoria collettiva attualizzante l'impegno antifascista, sia a livello istituzionale, sia popolare: la Regione Lombardia deve, perchè sia possibile il cambiamento verso una democrazia compiuta, reale e progressiva, riconoscere i finanziamenti suddetti, supplendo alla grave omissione e negazione del governo attuale e deve riconoscere forme di alta partecipazione con le associazioni partigiane nella valutazione di una programmazione di eventi pubblici e includenti sul tema dell'antifascismo e della memoria storica, in coordinazione con i provveditorati e gli istituti di ricerca storica, coinvolgendo le scuole di ogni ordine e grado per costituire la futura coscienza civile e collettiva dei futuri cittadini della Repubblica Italiana Antifascista. Obiettivo comune è quello di dare spazio alla "memoria attiva", attualizzare il significato della Resistenza e della guerra di Liberazione come base essenziale dell'identità storica della nostra Regione, che ha avuto un ruolo portante e fondamentale nella Lotta contro l'occupazione nazifascista. La Regione Lombardia deve diventare sentinella contro ogni deriva revisionista dilagante e imperante a livello nazionale istituzionale e deve dichiarare tramite mozioni, ordini del giorno e dichiarazioni consiliari la propria opposizione a ogni forma di revisione della storia e della memoria, patrimonio democratico e civile unificante. La Regione deve provvedere a promuovere canali di diffusione della cultura antifascista e della memoria stessa, tramite mostre, eventi culturali, esposizioni documentaristiche, dossier, documenti, libri di informazione e fomrazione, tramite, anche, il finanziamento agli istituti storici di ricerca, alle esperienze delle scuole di formazione civile e di crescita culturale delle coscienze, aventi programmi specifici e sperimentali, come la scuola di Rinascita, nata con un sistema educativo improntato sulla partecipazione e sulla condivsione di un percorso formativo critico e positivo.

Una Regione per un lavoro dignitoso e per una democrazia dei lavoratori.

La crisi della produzione è all'ordine del giorno e il governo non gestisce le risorse economiche garantendo giusti interventi economici che possano promuovere una formazione permanente e di contenuto qualificante per il lavoratore. Premetto questo in quanto considero questo dato come correlato pericoloso e aggravante della precarietà ormai contrattualizzata e legalizzata istituzionalmente, grazie a un intervento legislativo, quale quello della disumana e ignobile legge 30, che rende non solo incerto il futuro del lavoratore autonomo, ma determina un vero e proprio sconvolgimento del principio del "favor debolis", ossia del principio giuslavoristico secondo cui la normativa contrattuale e quella quadro a livello nazionale devono favorire nella contrattazione, fase di regolamentazione dei diritti e degli obblighi reciproci, tra dipendente e datore di lavoro il lavoratore medesimo, in quanto si presume essere la parte più debole nel rapporto e, quindi, più ricattabile. Questo atto legislativo, che crea a livello nazionale una devastante politica di annientamento delle condizioni giuridiche e sociali del lavoratore, propone propri effetti anche a livello lombardo: una ricerca dell'IRES CGIL della Lombardia conferma la presenza di un aumento della precarietà sociale e lavorativa con forme di grave esclusione e di forte incertezza per il proprio futuro delle condizioni personali del lavoratore medesimo. Questo principio è di fatto annientato con la nuova legislazione in quanto il sindacato non ha più quella forza collettiva di aggregazione rappresentativa dei diritti dei lavoratori, data la parcellizzazione ulteriore e ultronea dei rapporti di lavoro che vengono configurati come "atipici". Lo spezzettamento è, in secondo luogo, deteriorato dall'eliminazione delle regole limitanti e controllanti la cessione di rami d'azienda e d'attività produttive. La forza politica rivendicativa del sindacato confederale è, in terzo luogo, elisa da una legislazione che immette il sindacato in una funzione corporativa, ossia come mero sportello di servizio nella funzione di collocamento della forza lavoro all'interno dell'istituzione dei cosiddetti enti bilaterali privati, non più pubblici. In ultimo la questione più grave che deriva dalla presente legge è l'istituzionalizzazione di una forma classica di sfruttamento neoschiavistico, ossia la legittimazione a instaurare forme di capolarato legale, ossia di cessione in affitto di manodopera da un'azienda prestatrice di servizi a un'azienda di stampo multinazionale o di altra natura. Credo che questi dati di fatto inducano a considerare il lavoratore autonomo come una reale merce, un prodotto utilizzabile ai fini imprenditoriali di servizio istantaneo, un macchinario da utilizzare per interessi di breve periodo e da gettare alle ortiche nel momento in cui non vi è più utilità riscontrata da parte dell'azienda, a livello di mero profitto immediato. Proprio per questo come candidato al Consiglio Regionale lombardo di un partito che si propone di rappresentare politicamente il lavoro propongo di costruire una rappresentanza unitaria a livello istituzionale delle istanze sociali dei lavoratori, di concerto con le rivendicazioni sindacali, che devono rimanere nel proprio ruolo di promotori delle politiche di rivendicazione salariale e del miglioramento delle condizioni, oggi pessime, dei lavoratori autonomi, dei cosidetti nuovi lavoratori, propagandati in modo indegno dall'attuale maggioranza come "imprenditori di se stessi", di fatto appartenenti alla categoria dei nuovi schiavi. L'articolo 3 della nostra Costituzione è conseguente all'articolo 1 che prevede il lavoratore come cittadino soggetto assoluto di diritti, il quale, proprio perché concorrente alla determinazione del progresso sociale e civile, è l'epicentro di una legislazione ordinamentale che garantisca al medesimo dignità personale e l'attuazione e l'applicazione di tutti quei diritti formali, che a esso vengono riconosciuti sulla "carta". Proprio per questo dobbiamo denunciare in atti legislativi e in dichiarazioni consiliari l'ignominiosa legge 30 e creare una legislazione regionale che definisca un minimo e possibile ampliamento e difesa delle tutele che sono state recepite dallo Statuto dei Lavoratori, conquista storica di anni di lotte operaistiche del movimento dei lavoratori condotto in Italia dalle forze progressiste e democratiche. La Regione può cambiare queste condizioni non solo promuovendo il dialogo e il confronto sociale nell'ambito dei rinnovi contrattuali per i settori esclusivi di competenza dell'Ente ma, anche, cercando di definire un'azione legislativa regionale che abbia la finalità di non applicare la legge 30, nei limiti consentiti dall'ordinamento repubblicano, attuando una trasformazione dei contratti atipici a tempo determinato, o a collaborazione, o a progetto in contratti di lavoro a tempo indeterminato. Occorre, infine, promuovere un forte investimento, tramite anche i programmi europei di incentivazione e di finanziamento di corsi di formazione professionale, di concerto con istituti di ricerca scientifica, universitaria e di ricerca applicata, con gli istituti accademici, di cui la Lombardia è fortemente ricca, nell'ambito della formazione professionale qualificante e nell'ambito di programmi di avanzamento scientifico nel campo della ricerca: tutto questo ovvierebbe alla grave mancanza dei fondi strutturali, dettati dall'assenza delle politiche governative in tema di ricerca scientifica, e darebbe credito alla competività e all'utilizzazione di questo settore come promotore di progresso sociale e di crescita civile e culturale dei soggetti. La gestione patrimoniale dell'entità dei finanziamenti europei deve essere altamente trasparente e deve provvedere a classificare come prioritari i criteri della qualità del corso e della modalità partecipata attuata dal soggetto promotore nella fase di attivazione e di programmazione del medesimo corso o del medesimo progetto di ricerca.

Una Regione laica delle pari opportunità e dell'eguaglianza sostanziale tra i cittadini.

La Regione Lombardia può cambiare veramente se concepisce come fondamentali una programmazione politica inerente ai principi e ai valori portanti di un progetto laico, pluralista e aconfessionale in cui l'eguaglianza di diritto tra cittadine e cittadini, a prescindere da ogni condizione sociale, economica, ideologica, religiosa e dall'orientamento sessuale, sia elemento fondante. La Lombardia è regione in cui si sono creati negli ultimi anni luoghi forti di confronto tra soggetti e in cui sono cresciute esigenze, istanze sociali e culturali e identità nuove in base alla forte trasformazione culturale e collettiva in atto con l'avvento del secolo post - moderno. E' proprio per questo che occorre dare personalità giuridica alle nuove realtà e categorie civili e sociali, riconoscendone il patrimonio di diritti e di doveri. Nell'analisi della modernità e dei cambiamenti strutturali della società occorre ristabilire in modo determinato e fermo le conquiste di civiltà e sociali che sono patrimonio del passato storico e che oggi possono garantire lo sviluppo di una democrazia adattata ai tempi sociali in fieri e in incessante divenire. La Regione Lombardia, regione di forti mutamenti sociali strutturali, sia a livello economico, sia a livello lavorativo e categoriale, sia a livello culturale, con il graduale processo di nuove presenze attive sul territori, appartenenti a realtà geopolitiche differenti, ma unite nelle stesse esigenze, negli stessi bisogni e nelle stesse rivendicazioni di quei diritti tipici dei cosidetti invisibili, deve saper dare delle risposte per accogliere democraticamente il cambiamento e renderlo proponitore di contenuti di democrazia progressiva e partecipata in senso reale. Le incertezze sociali derivano esattamente e sono causate da questo incerto mutamento, superficialmente non comprensibile in una descrizione storica fenomenica categorica, ma tipica di una complessità globale di un mondo in profonda evoluzione: dare contenuto al cambiamento cogliendo l'opportunità per considerare la laicità come presupposto di una nuova società regionale che affronti con spirito aperto le soluzioni ai nuovi disagi civili e sociali, senza un approccio preconfezionato e prestabilito, come fino a oggi determinato e proposto e come proposto a livello nazionale dall'attuale maggioranza, ma secondo un approccio dialogante, critico e includente. Pertanto occorre provvedere a rendere per legge istituzionali i registri per il riconoscimento alle coppie di fatto, eterosessuali e omosessuali, gli stessi diritti delle coppie di diritto, concependo un nuovo modo di intendere il concetto comprensivo di "famiglia" e di "nucleo familiare". E', quindi, importante che tali registri siano promotori di un riconoscimento giuridico forte di diritti non solo di stampo liberale, ma anche di stampo sociale, ossia il diritto agli assegni di sostegno familiare, oggi previsti in alcune regioni a tutti i nuclei e non solamente ai nuclei con prole, le agevolazioni per l'acquisto della casa, la previdenza e i diritti e i doveri in tema di assistenza e malattia, affinchè la coppia di fatto sia equiparata alla famiglia, gli aspetti patrimoniali e non patrimoniali. La Regione Lombardia si faccia parte diligente nel proporre un progetto di legge che inviti il Parlamento a legiferare sulla tutela della coppie di fatto, discutendo di inserire la tutela delle diverse forme familiari nel nuovo e prossime Statuto della Regione Lombardia.

Un concetto laico di libertà
Cercare di dare una nuova interpretazione in chiave laica delle libertà che non siano viste come concessione giuridica a livello amministrativo e statale, ma che siano viste come possibilità di azioni positive limitate dal principio massimo di "rispetto delle autonomie e della personalità dell'altro cittadino, rispetto dell'interesse collettivo": quindi occorre a livello regionale promuovere forme di sperimentazione di utilizzazione delle cosidette "droghe leggere" a scopo terapeutico e scientifico medicale e occorre rendere non attuativa, nelle forme e nei modi consentiti dall'ordinamento costituzionale nell'ambito del rapporto gerarchico tra le fonti di diritto interno, parti concernenti le gravi disposizioni di legge repressive e illiberali inerenti il consumo delle droghe leggere. In terzo luogo occorre garantire forme di obiezione amministrativa in fase di attuazione dell'ingiusta e pericolosa legge sulla fecondazione assistita. La laicità rappresenta il pluaralismo e il pluralismo rappresenta una democrazia fondata sull'integrazione e il concorso di tutti i soggetti all'amministrazione dell'interesse collettivo, senza prefigurazioni ideologiche di stampo prestabilito e di carattere pregiudiziale inspiegabile e frutto di un forte e irrazionale arbitrio volontaristico di una fazione, quale essa sia, detenente il potere maggioritario a livello istituzionale.








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