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  Friday 11 March 2005 12:18:47  
From:
Alessandro Rizzo   Alessandro Rizzo
 
Subject:

«Mille tentativi di suicidio tra i ragazzi»

 
To:
Alessandro Rizzo LD   Alessandro Rizzo LD
 
Lo psicoterapeuta: «La prevenzione si fa parlandone». L’insegnante: «Presidiamo le scuole»
«Mille tentativi di suicidio tra i ragazzi»
L’allarme di Milano: centinaia di casi nascosti ogni anno, è la seconda causa di morte tra i giovani

MILANO - E’ la seconda causa di morte tra i giovanissimi, dopo gli incidenti stradali. Ma non si dice. I tentati suicidi e i suicidi degli «under 20» vengono negati, sottaciuti e camuffati, per poi finire classificati come semplici seppur tragici incidenti. Perché attorno al drammatico fenomeno si costruisce un muro invalicabile d’omertà. Poco più di cento tentativi di suicidi in un anno a Milano, secondo le statistiche ufficiali; più di mille secondo le proiezioni degli esperti. Ecco dunque risultare falsate le statistiche e le ricerche epidemiologiche. Che per altro segnalano - dati Istat - Lombardia e Sicilia come le regioni con le punte più preoccupanti. In un Paese che è ultimo in Europa quanto a numero di suicidi, appena prima del Portogallo, ma solo perché più dedito - dicono gli esperti - a nascondere le morti volontarie, soprattutto dei più giovani.
MEGLIO Il SILENZIO - Esiste una congiura del silenzio che avvolge e anestetizza il problema della decisione di farsi del male. Un silenzio fondato sulla vergogna: del protagonista in crisi, della sua famiglia, della scuola che frequenta. C’è chi tra gli esperti è convinto che non parlare delle forme estreme di disagio giovanile sia meglio: perché diversamente si finisce per istigarle, per creare voglia di emulazione, per scoperchiare il pentolone dove ribolle il disagio degli adulti, genitori e professori compresi. E chi invece sostiene «sulla base dell’osservazione scientifica» che affrontare e approfondire il tema dell’autolesionismo portato all’estremo tra i teenager vuol dire fare azione di prevenzione. In testa, il professor Augusto Pietropolli Charmet, psicoterapeuta di fama e di chiaro impegno per salvare i «ragazzi tentati dalla morte». «Nell’ultimo anno ho seguito personalmente 136 casi di tentato suicidio; ritengo che sia un numero da moltiplicare almeno per dieci, che vuol dire oltre 1300 nella sola Milano», dice il professore, che è responsabile scientifico del Crisis Center voluto dall’associazione non profit milanese «L’amico Charly». L’associazione ha firmato un protocollo d’intesa con l’Ufficio scolastico regionale della Lombardia. Offre gratuitamente, da ormai due anni, ora anche con il sostegno economico della Fondazione Umana Mente, assistenza specialistica per la prevenzione e la gestione del postvention (ovvero dell’avvenuto evento traumatico) a scuola e all’interno delle famiglie.
SCENARIO IDEALE - «La scuola è lo scenario da presidiare per capire i ragazzi in crisi e quindi prevenire i loro gesti estremi. E’ la scuola il palcoscenico ideale dove esprimere il loro disagio più profondo», spiega la professoressa Mariagrazia Zanaboni, trent’anni di insegnamento di lettere classiche, quest’anno premiata con la Rosa Camuna della Regione Lombardia e nel 2003 con l’Ambrogino d’Oro dal Comune di Milano, ma anche un nipote bello e bravo e di famiglia benestante morto suicida nel 2001. «Gli insegnanti e i dirigenti scolastici dovrebbero fungere da antenne per captare i segnali d’allarme del disagio dei propri studenti e quindi essere in grado di disinnescarli», conviene Marina Valassuga, vicedirettore dell’Ufficio Scolastico Lombardo.
SEGNALI D’ALLARME - Segnali d’allarme che vengono però per lo più negati e occultati. «Gli insegnanti sono ormai spenti nella loro passione educativa dalle varie riforme, hanno difficoltà a guardare negli occhi i ragazzi e a decifrare il loro disagio», sostiene Ermelina Ravelli, preside della scuola superiore Capirola di Leno, in provincia di Brescia, dove Desirée Piovanelli venne rapita e uccisa durante un tentativo di violenza sessuale. Ma spesso i ragazzi fanno gesti estremi senza dar segnali delle loro intenzioni. «Ho avuto un ragazzo morto suicida tre anni fa che era il più bello e il più bravo della scuola. Un ragazzo di successo e con grandi talenti», racconta Andrea Boselli, preside del liceo Galilei di Legnano. Molti i casi di disagio che ha visto nel suo istituto: «E il problema più grande consiste sempre nel far uscire allo scoperto la famiglia: è difficile riconoscere il disagio del proprio figlio perché lo si vive come una propria colpa».
 Gloria Pozzi
11 marzo 2005


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