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  Friday 18 March 2005 11:54:26  
From:
Alessandro Rizzo   Alessandro Rizzo
 
Subject:

X GIORNATA DELLA MEMORIA CONTRO TUTTE LE MAFIE

 
To:
Alessandro Rizzo LD   Alessandro Rizzo LD
 
X GIORNATA DELLA MEMORIA
CONTRO TUTTE LE MAFIE
don Luigi Ciotti
Roma, 17 marzo 2005


Eravamo partiti da Roma dieci anni fa, il 21 marzo del 1996. Una giornata straordinaria: non una celebrazione, ma una dichiarazione di impegno per il futuro e di doverosa attenzione per il passato. Un passato che aveva e che ha i volti e i nomi delle troppe vittime delle mafie. Una orazione laica, che ha inteso fare della memoria l'indispensabile fondamento del futuro. Con "Libera", promotrice della Giornata, con le tante associazioni e i rappresentanti delle istituzioni, a partire dall'allora Capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro, ma soprattutto con i moltissimi cittadini che sono intervenuti. Con i parenti delle vittime, con i giovani che si sono susseguiti nel leggere il doloroso elenco di vite spezzate dalla violenza. Avevamo pensato e voluto quella iniziativa come una sfida per il presente. Una sfida senza arroganza o presunzione. Una sfida per cominciare un percorso, scommettere sulla partecipazione: perché solo essa è realmente capace di promuovere e difendere la legalità. Solo insieme si battono le mafie, si edificano democrazia e giustizia. Una sfida non solo alle attività criminali, agli omicidi, alle stragi, ma anche a quel "sentire" mafioso che avvelena la società, corrompendone le culture e ipotecandone il futuro. Il futuro è nostro e si costruisce con "mattoni" di presente: per questo è importante aprire gli occhi su tutto il "positivo" che c'è: il grande sforzo della Magistratura e delle Forze dell'Ordine per contrastare le mafie, l'impegno di tanti amministratori, sindaci, assessori. Il fermento di attività che ci hanno restituito parte del Territorio, attraverso la confisca dei beni dei mafiosi. Ancora, l'energia del mettersi in gioco, la fatica e la gioia dello sport pulito; la condivisione di sogni e speranze. In una parola, la strada, a volte scomoda, che abbiamo fatto insieme in questi dieci anni. Abbiamo creduto alla promozione culturale e lavorato per lo sviluppo sociale, attraverso percorsi educativi.
Tutti sappiamo che la mafia non dà, toglie: ruba la vita di coloro che considera propri nemici e, assieme, la dignità, i diritti, le opportunità di tutti. L'economia criminale, concentrata nella mani di pochi, costituisce una grave sottrazione di risorse alla collettività, compresi i giovani manovali che riesce ad arruolare e che distruggono la propria e le altrui vite per un tozzo di pane. In questi anni quante parole abbiamo detto. Le parole sono importanti per distruggere stereotipi e luoghi comuni che rafforzano le sottoculture e il "sentire" mafioso. Però le parole non bastano, sono distanti dalla vita, dalle necessità, dai problemi reali. Sono un rumore di sottofondo che non si misura con la necessità di cambiamento. Ormai ci siamo abituati e non lo sentiamo più, storditi dai messaggi di disimpegno, dalle veline e dai telequiz che ingombrano tutti i canali e raccontano di un mondo di plastica, di immagini finte e di persone prive di verità. Non è quella la realtà, non è quello il mondo, non sono quelli i valori che i nostri ragazzi devono sentire come propri, come le cose che contano, per le quali vale la pena di vivere.
La partecipazione è un antidoto rispetto al veleno della passività, che svuota la democrazia dall'interno, come abbiamo visto in modo crescente e preoccupante negli anni più recenti. E, assieme, è difesa di fronte alle incoerenze, alla retorica, alle troppe parole vuote che addormentano le coscienze. Noi, "a occhi aperti", vogliamo sognare. Il sogno ci aiuta a non appiattirci nella quotidianità, a non accontentarci delle promesse, a non spegnerci nell'abitudine e nella rassegnazione. Ma il sogno deve sapersi fare segno: deve incidersi nella vita di tutti i giorni, deve trasformarsi in presente diverso, deve rendersi riconoscibile agli altri per poter essere condiviso.
Camminare assieme è la premessa e il contenuto del futuro che vogliamo. E che, anche oggi, siamo qui a disegnare. Insieme. Proprio come dieci anni fa, in questo stesso Campidoglio, in questo stesso primo giorno di primavera. La primavera è un annuncio che bisogna vivere, annusandone gli odori e riconoscendone i colori. Dieci anni fa erano qui con noi alcuni amici, che ci mancano molto. Antonino Caponnetto -"Nonno Nino", per come hanno imparato a conoscerlo tantissimi giovani -e Saveria Antiochia, la mamma di Roberto, l'agente di polizia ucciso a Palermo insieme al commissario Cassarà. E poi con noi c'erano anche Gianmario Missaglia, una delle anime fondatrici della nostra associazione e Tom Benetollo, indimenticabile presidente dell'Arci. Questa giornata è dedicata anche a loro: ai giovani di ieri e a quelli di oggi, accomunati dalle difficoltà di comunicazione con il mondo degli adulti, dalla mancanza di luoghi in cui riconoscersi e operare, di opportunità rubate e tuttora negate. Accomunati anche dalle preoccupazioni. Non si può evitare di essere preoccupati davanti a una crisi di legalità impressionante e inedita, che incrina la democrazia sin nel suo fondamento e nei contenuti della Carta Costituzionale. Non si può non essere preoccupati, se guardiamo alle fatiche della politica nell'interpretare la società, nel fornire risposte, nel rendersi credibile e autorevole. Però la preoccupazione non può zittire la nostra voce o fermare il nostro cammino lungo, faticoso, denso di rischi e di delusioni. Ma anche capace di darci senso e coraggio. In questi dieci anni abbiamo fatto tappa a Niscemi, Reggio Calabria, Corleone, Casarano, Torre Annunziata, Nuoro, Modena, Gela. Ora siamo di nuovo a Roma. Più stanchi e preoccupati, ma non per questo meno determinati. Perché il nostro sogno si fa segno. Le parole, fecondate dalla coerenza, diventano vita, reciprocità, costruzione di futuro. Condivisione e memoria. Impegno e promessa. E tutto ciò è scritto non sulla sabbia, ma nella carne viva di ciascuno. Per questo denunciamo le nostre preoccupazioni, ma non ci ritiriamo nelle nostre case o nelle nostre chiese. Dopo dieci anni non dobbiamo stare zitti, né fermarci. Non possiamo dimenticare, né arrenderci.


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