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  Thursday 24 March 2005 13:50:47  
From:
Alessandro Rizzo   Alessandro Rizzo
 
Subject:

Punto primo del programma: mai pił un condono

 
To:
Alessandro Rizzo LD   Alessandro Rizzo LD
 
L'UNITA' - 23.03.2005
Punto primo del programma: mai più un condono

Entra nel vivo la lunga marcia della Fabbrica di Prodi, «luogo di partecipazione e di scambio di idee». Così la definisce Pier Luigi Bersani, reduce dal primo summit della Quercia dedicato al programma elettorale, a cui ha partecipato lo stesso segretario Piero Fassino. «Non facciamo una Fabbrica e neppure il programma Ds - dichiara Bersani - Raccogliamo le idee a partire dal lavoro che è stato fatto al Congresso, e in altre sedi e le selezioniamo». Insomma, è di un tassello di quel puzzle complesso - frutto del confronto di tutta le forze dell’Unione - da cui far emergere il nuovo «manifesto» elettorale, con un obiettivo ambizioso: (ri)costruire un alfabeto della cittadinanza. Il messaggio di fondo non sarà una «rivincita su Berlusconi - spiega l’esponente della Quercia - Spero che dopo le regionali il nostro risultato sarà tale che noi a quel punto non dobbiamo voltare le spalle al Paese e guardare Berlusconi, ma dobbiamo voltare le spalle a Berlusconi e guardare al Paese e lanciare un messaggio positivo di alternativa».
Nessun contratto con gli italiani? Non ci saranno 4-5 punti da presentare agli elettori?
«Sui punti centrali si deciderà assieme. Per ora abbiamo cominciato una discussione generale. Sicuramente si dovrà trovare un punto di equilibrio tra innovazione e rassicurazione. L’Italia ha bisogno di cambiare e anche di essere rassicurata, perché è spaesata. Oltre a questo dovremo dare l’idea di uno sforzo collettivo, da tradursi in una proposta che contenga il senso dell’alleanza tra forze vive e reali del Paese. Questi due punti ci portano già a dare un possibile tratto del volto dell’alternativa che proponiamo: non potrà essere una rivincita su Berlusconi».
Molti si chiedono quante leggi saranno cancellate se il centrosinistra andrà al governo.
«È talmente evidente ormai che alcune di queste leggi non stanno portando a risultati, che si cancellano da sole. Vorrei ricordare che questo è il primo anno di applicazione della legge Biagi ed è il primo anno in cui c’è minor incremento degli occupati. Non sarà colpa della legge Biagi, ma non potremo dire che la Biagi è miracolosa. Altro esempio: mentre discutiamo di competitività, noi abbiamo in crisi gli istituti tecnici, che perdono iscritti e professori. Ancora: alle medie si studia meno inglese di prima. È evidente che ci sono state operazioni ideologiche che vanno smantellate. Ma noi non proponiamo alla gente: arriviamo per cancellare. Al contrario diciamo: arriviamo per fare».
Altro punto centrale?
«Noi dovremmo rilanciare in forme nuove un presidio di responsabilità collettiva e sociale sulla distribuzione del reddito e della produttività del sistema. Ci vuole un dialogo serrato su questo tra governo e forze sociali».
Questi due temi chiamano in causa soprattutto le tasse.
«Non solo le tasse, anche tante altre cose: le tariffe, l’andamento dei contratti, l’impatto con le nuove tecnologie, la questione degli affitti. O riusciamo a sostenere i redditi, o altrimenti un minimo di rassicurazione sociale o di rilancio dei consumi non lo otteniamo. Sulla competitività ci sono da cancellare le rendite di posizioni presenti nel Paese. Da noi i soldi vanno, o meglio le munizioni vanno a chi non è sul fronte. Basta guardare i bilanci delle imprese: i soldi vanno a Eni, Enel, Telecomunicazioni. Gli altri, che si confrontano sul mercato globale, fanno bilanci pessimi. La redistribuzione dev’essere radicale, anche sul fronte fiscale».
Non rischiate di trovarvi con l’erba già tagliata dagli sgravi di Berlusconi?
«Certamente ridurre le tasse è desiderabile, ma a certe condizioni. Primo: che siano preservati i servizi fondamentali. Secondo: che il finanziamento della riduzione venga dalla lotta all’evasione o all’elusione. Terzo: che la riduzione vada a vantaggio di chi ha di meno e non di chi ha di più. Non esiste che si dà zero euro a chi ne guadagna 12mila l’anno e 500 a chi ne guadagna 200mila: non può esistere in via di principio. Su questo punto dobbiamo riprendere il tema dello spirito civico e della fedeltà fiscale, del pagare meno e pagare tutti. Questo vuol dire parole d’ordine impegnative, come ad esempio: “mai più un condono”».
Sulle politiche industriali?
«Inutile ricordare che la produzione industriale italiana è in crisi profonda anche rispetto ai partner europei. Bisogna ripartire da zero, ponendoci in una nuova prospettiva, che è quella di chiederci: quali campioni nazionali immaginiamo? Quali driver? Attorno a questi pilastri si può costruire un nuovo sistema di rilancio».
Sulla Costituzione come ci si muoverà?
«Agli italiani dovremo spiegarla così. Nessun costituzionalista è d’accordo con questo pasticcio. Se tutti i meccanici d’Italia dicono che la macchina non va, bisognerebbe fermarsi un attimo prima di mettersi in moto. Su questa base dobbiamo attrezzarci al referendum».
Altro punto caldo è l’Europa: quale rapporto immaginate?
«L’Europa sarà l’oggetto del prossimo scaricabarile. Per il centrodestra è diventata l’origine di tutti i nostri guai, con delle falsificazioni che vengono prese per buone anche dalla Tv. Quando Berlusconi definisce “ominidi” quelli di Eurostat perché hanno ricontabilizzato le Fs, qualcuno dovrebbe dirgli che anche i francesi le contabilizzano così. Indubbiamente l’Europa è criticabile. Ma noi la critichiamo perché ce n’è poca: non è tollerabile che nella nuova dimensione mondiale, dove devi discutere con la Cina, senza l’Europa come attore geopolitico non competeremo mai».
Ma la destra accusa Prodi di aver giocato in Europa contro l’Italia.
«Ah sì? Beh, adesso c’è Barroso, se il presidente della Commissione è davvero così potente, perché non chiedono a lui di difenderci?».  




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