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  Monday 28 March 2005 19:31:04  
From:
Alessandro Rizzo   Alessandro Rizzo
 
Subject:

Formigoni ha aiutato ex inquisiti

 
To:
Alessandro Rizzo LD   Alessandro Rizzo LD
 
Formigoni ha aiutato ex inquisiti
di Susanna Ripamonti
fonte: L'Unità

A volte ritornano. C’è una singolare analogia tra l’inchiesta «Oil for food» che indirettamente tira in causa il non indagato governatore della Lombardia Roberto Formigoni e il vecchio scandalo dei petroli, altrimenti detto lo «scandalo dei 2000 miliardi» che occupò in modo ingombrante le cronache all’inizio degli anni 80. Nato come una colossale truffa fiscale, si rivelò un gigantesco meccanismo di finanziamento ai partiti, in cui la Dc di Aldo Moro fece la parte del leone. L’analogia sta nel fatto che uno dei protagonisti della vicenda «Oil for food», la Cogep della famiglia Catanese, fu anche pesantemente implicata nello scandalo dei petroli. All’epoca non si chiamava Cogep, ma il 28 maggio dell’82, il tribunale di Milano condannò per contrabbando internazionale, i tre fratelli Natalio, Vittorio e Saverio Catanese e un loro cugino, Bruno Catanese. Natalio, che ora è titolare della Cogep, all’epoca era un brooker che come il resto della famiglia faceva affari nel commercio petrolifero. Le sue responsabilità erano più defilate perché non aveva cariche dirette nelle società di famiglia, mentre la condanna più pesante colpì Saverio Catanese, socio di varie imprese petrolifere tra cui la Ifi, coinvolta nello scandalo.
C’è anche un altro punto di contatto tra la famiglia Catanese e Formigoni, o meglio, il braccio economico di Formigoni, la Compagnia delle Opere. Spulciando a caso tra i membri fondatori ci troviamo, anche questa singolare coincidenza, Vittorio e Antonio Catanese, entrambi con lo stesso pedegree, membri autorevoli della stessa famiglia.
Nel maggio dell’82, la decima sezione del tribunale di Milano, emise quarantaquattro condanne, per un totale di 117 anni di reclusione e quasi un miliardo di multe a conclusione del processo per il terzo troncone milanese del cosiddetto «scandalo dei petroli». Ma l’inchiesta aveva interessato 18 procure italiane, coinvolgendo i vertici della guardia di Finanza e, sul fronte politico, il segretario di Aldo Moro, Sereno Freato, indagato a Torino. A Milano Saverio Catanese era stato condannato a sette anni e sei mesi e a 35 milioni di multa, gli altri membri della famiglia se l’erano cavata con condanne minori. Un coimputato era Giovanni Mongini, fratello di quel Roberto Mongini democristiano, vicepresidente della Sea (servizi aeroportuali milanesi) che nel 1992 se ne restò zitto zitto per 16 giorni in una cella di San Vittore, prima di confessare le tangenti prese per la Dc. Da quel momento divenne una delle più feconde gole profonde dell’inchiesta «Mani Pulite». Anche in questo caso, analogie, parentele, nell’ambito della grande famiglia dei tangentisti.
E veniamo a Natalio Catanese e all’attualità di «Oil for food». Il personaggio come si vede non è immacolato. Uscì pressochè illeso dallo scandalo dei petroli grazie a un ottimo avvocato, Daria Pesce, anche se non si può dire altrettanto della sua famiglia, che risultò invece ben inserita nell’organigramma della corruzione: il contrabbando internazionale di petrolio e la frode fiscale ai danni dell’erario in effetti era stata allora possibile grazie alla complicità dei vertici della guardia di finanza e alla copertura politica, garantita soprattutto dalla Dc, che poi passò all’incasso. All’epoca fu arrestato, si fece un mese di galera e uscì da San Vittore pagando una cauzione di 400 milioni. E chissà perché Formigoni caldeggia gli affari di una famiglia già coinvolta nello scandalo dei petroli e quindi nota soprattutto per la sua spregiudicatezza e per la sua disponibilità a commettere illeciti. Come mai si spende proprio per Catanese e per la sua azienda, procurandogli affari col petrolio iracheno? Il governatore lombardo, dopo aver trattato in prima persona con Tarek Aziz la fornitura all’Italia di 24 mila barili di greggio, manda un fax all’ex vice presidente dell’Iraq e sponsorizza espressamente la Cogep: «Eccellenza, so che Somo (società petrolifera irachena) sta firmando i nuovi contratti, mi lasci ricordarle i nomi delle società petrolifere che ho segnalato: una è la Cogep....». Le indagini hanno già accertato che addirittura fu un uomo di Formigoni, Marco Marzarino De Petro a firmare, per conto della Cogep, il primo contratto di acquisto del petrolio iracheno. E De Petro è sicuramente un personaggio molto vicino al governatore: ex senatore dc, ciellino della prima ora, ha ammesso di aver avuto mandato dalla Regione Lombardia di tenere rapporti con l’Iraq. E nell’espletamento di queste funzioni, l’uomo di Formigoni firma contratti per conto della Cogep.
Questa società, stando al rapporto dell’Onu da cui è partita l’inchiesta milanese, degli illeciti li ha già commessi anche in questa vicenda: ha pagato tangenti al governo di Saddam e ha versato, anche in Italia, una percentuale degli incassi. Dove sono finiti? C’è un grande salvadanaio che si chiama Candonly, una società di schermo alla quale la Cogep ha versato 3 centesimi per ogni barile di petrolio acquistato in Iraq, grazie all’interessamento di Formigoni e del suo «ambasciatore» De Petro. E guarda caso, fra le teste di legno che stanno dietro a Candonly c’è De Petro, una coincidenza che fa supporre che questa società sia una specie di cassaforte destinata a finanziamenti illeciti. Se il destinatario è Formigoni, la sua area politica, il suo sistema di potere sarà la magistratura a dimostrarlo.


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