la newsletterdi Mario Agostinelli, Capogruppo RC in Consiglio Regionale Lombardia
27/03/2008, numero 4/2008
In questo numero:
Il 13 Marzo il nuovo Statuto della Lombardia è stato approvato in prima
lettura dal Consiglio con 61 voti a favore e l’astensione di tutta la Sinistra
Arcobaleno. Entro Maggio si passerà all’approvazione definitiva del testo, senza
possibilità di emendamenti.
Il gruppo PRC ha manifestato un profilo netto e
riconoscibile in tutto il dibattito protrattosi per un anno intero ed ha svolto
un’azione di merito intensa e molto determinata su ognuno dei 65 articoli della
legge e, infine, nella discussione di tre giorni in Consiglio ha presentato con
tutta la Sinistra Arcobaleno centinaia di emendamenti comuni.
L’astensione su
un atto che fissa le regole di funzionamento delle istituzioni regionali
equivale alla bocciatura: credo che in nessuna regione l’opposizione abbia preso
le distanze in modo così marcato dallo statuto in gestazione. In effetti, lo
Statuto lombardo è lo specchio di una azione politica legata alle innovazioni
che il modello Formigoni ha apportato anche rispetto alla nostra Costituzione.
L’idea di una Lombardia “stato nello stato” viene rafforzata e le ambizioni
politiche del Presidente della Lombardia che “cala” a Roma vengono premiate. La
Lega porta a casa poco o nulla, accontentandosi di un ruolo al traino del
disegno ciellino, il vero ispiratore dei “valori” sostitutivi dei “diritti” e il
regolatore delle possibili mediazioni raggiunte col PD. La sinistra
conquista il riconoscimento di un ruolo marcato degli enti locali,
dell’uguaglianza tra uomini e donne, del carattere pubblico dell’acqua, di
maggiori garanzie per l’opposizione nell’attività consiliare.
Qui di seguito porto a conoscenza in modo schematico e in 6 punti i contenuti
più preoccupanti dello Statuto, con l’intenzione di sollecitare allarme e una
discussione pubblica sul profilo politico culturale assolutamente anomalo
assunto dalla Regione Lombardia nel contesto nazionale.
Un profilo – e
questo è fonte di grande preoccupazione – ormai condiviso dal Partito
Democratico (che ha blindato il testo in discussione e scoraggiato emendamenti)
in un clima da “grande coalizione”, che non lascia niente a sperare e che la
stampa e i media sembrano gradire, al punto da negare ospitalità alle
riflessioni e alle informazioni come quelle esposte qui di seguito. In
esse mi limiterò spesso e volutamente a riprendere tra virgolette il testo dello
Statuto senza alcun commento, proprio per sottolinearne la gravità.
La necessità di un riequilibrio di poteri a favore del Consiglio è apparsa come questione politica dirimente, intorno alla quale misurare la possibilità di convergenza e lo stesso grado di “spirito costituente”. L’elezione diretta del Presidente, che abbiamo contrastato, fornisce invece a questa figura poteri illimitati, al punto da consentire lo scioglimento del Consiglio e il ritorno alle elezioni anche nel caso di ambizioni personali di un politico (come Formigoni eletto per la terza volta!) che punta a diventare Ministro. L’accentramento dei poteri determina così un impoverimento del ruolo del Consiglio, che esercita debolmente la funzione legislativa, ma rimane sostanzialmente subordinato all’esecutivo. Inoltre la Giunta - prevista di 16 assessori e integrata da 4 segretari del Presidente: 8 membri in più dei Ministri previsti dal Governo Nazionale! - non è sottoposta ad appropriato controllo politico, dando origine ad un conflitto di interessi, con i controllati che coincidono con i controllori.
La Regione “riconosce nella Chiesa Cattolica e nelle altre confessioni religiose, formazioni sociali in cui si svolge la personalità dell’individuo e orienta la sua azione alla cooperazione con queste, per il bene della comunità regionale”. “Persegue, sulla base delle sue tradizioni cristiane e civili, il riconoscimento e la valorizzazione delle identità presenti sul territorio”. “Tutela la famiglia con adeguate politiche sociali, economiche e fiscali”. Nessun commento, parla da sé.
La Regione “in attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale,
riconosce e favorisce l’iniziativa autonoma dei cittadini, delle famiglie, delle
formazioni sociali e degli enti civili e religiosi, garantendo il loro apporto
alla programmazione e nella realizzazione dei servizi pubblici”.
“Assicura la
libertà di scelta nei servizi che dipendono dalla Regione a parità di condizioni
di accesso nel caso dei servizi essenziali”. Ma tutto ciò come si concilia
con la Costituzione Italiana? Non è forse la celebrazione del privilegio del
privato sul pubblico e della possibilità di finanziare direttamente la scuola
privata e la sanità e l’assistenza convenzionata con sovvenzioni, buoni e
voucher?
Mentre la Regione “agevola l’attività” dell’impresa che “riconosce come fondamento, insieme al lavoro, del sistema economico e produttivo lombardo”, si limita soltanto a ”sostenere il lavoro”, anche se “opera perché il diritto al lavoro si realizzi in condizioni di stabilità “ (nostro emendamento approvato). Ne discende anche una sottovalutazione del ruolo del sindacato, contemplato solo nella posizione di “partner” delle decisioni della Giunta e equiparato alle molteplici altre organizzazioni civili e sociali in meccanismi di coinvolgimento molto generici. Inoltre i vincoli sociali posti dall’art 41 della Costituzione alla libertà d’impresa non sono stati ripresi.
Invano abbiamo presentato proposte perché si codificasse il bilancio
partecipativo, si riconoscesse il conflitto come momento essenziale della
democrazia, si promuovessero strumenti di democrazia diretta per affrancare i
cittadini dalla condizione di meri spettatori.
Addirittura, gli strumenti
referendari sono stati resi praticamente impraticabili rispetto alla situazione
in atto fino ad oggi. Infatti, per l’abrogazione di una legge regionale, si
passa dagli attuali 90.000 elettori, o 3 consigli provinciali, o 50
consigli comunali, a 300.000 elettori, o 4 consigli provinciali, o 150 consigli
comunali. Il referendum sull’acqua pubblica ammesso a Febbraio su richiesta di
132 comuni , in base alle nuove regole (difese da PD, FI, AN e Lega e avversate
dalla Sinistra Arcobaleno) non avrebbe raggiunto il quorum di proponenti.
Dallo Statuto il potere regolamentare viene assegnato sostanzialmente alla
Giunta, salvo solo un parere non vincolante del Consiglio; così la riserva di
legge in materia di diritti civili e politici che noi pretendevamo per il
Consiglio risulta nel testo finale assai labile, aprendo di conseguenza larghi
spazi a discipline di carattere anche meramente amministrativo e al ricorso alla
delegificazione.
Allo stesso modo, si è voluto in diverse occasioni
banalizzare il tentativo di riequilibrare il rapporto tra Giunta e Consiglio con
l’introduzione di strumenti di controllo o con l’affermazione di nuove
competenze da parte del Consiglio, in ordine ai regolamenti o alla verifica
della conformità tra le leggi emanate e lo Statuto. Banalizzazione dettata dal
malcelato fastidio nei confronti di qualsiasi regola che richiami la
partecipazione, la trasparenza, la socializzazione dell’esperienza
dell’amministrazione. Un riflesso di una concezione centralistica ed
autoreferenziale che fa coincidere la sovranità popolare semplicemente con il
voto e la partecipazione con il “partneriato”, inteso come processo di selezione
e di cooptazione dall’alto delle istanze sociali.
L'organo di garanzia
statutaria, infine, è stato scardinato proprio nella sua funzione di garanzia,
sia eliminando ogni rigoroso requisito di professionalità per i suoi componenti,
sia anticipando alla fase di presentazione dei progetti di legge il suo
intervento, originariamente previsto al termine dell'iter legislativo (ciò che
consentiva di prevedere che in caso di parere negativo il pdl dovesse essere
riesaminato ed approvato a maggioranza qualificata).
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