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Bologna: un libro nella propria lingua per detenuti stranieri

Bologna: un libro nella propria lingua… per sentirsi più liberi
Chi ha sbagliato deve pagare, ma non per questo si può essere privati della dignità”.

Salvatore Giampiccolo chiede, da mediatore, che ai suoi ex compagni di carcere venga concessa la libertà di sopravvivere dietro le sbarre con decoro. Parla di libertà di leggere e di scrivere Salvatore, che conosce bene la vita da carcerato. “Sono cose queste che ti rendono libero anche da rinchiuso”, dice. E fa un appello per combattere la discriminazione dei detenuti stranieri.


Insieme a Roberto Morgantini dell’ufficio stranieri della Cigl e Mattia Fontanella del Comitato delle Memorie di Bologna, Salvatore Giampiccolo ha dato vita alla campagna “Un libro per il carcere”. “Le biblioteche ci sono ma i testi sono solo in italiano - spiega -, ho girato quaranta carceri diversi e la situazione era la stessa”. L’iniziativa nasce per rispondere alle richieste degli stranieri della Casa circondariale “Dozza” di Bologna, ma vuole fare da precursore a una pratica da realizzare in tutta Italia.
Salvatore ha scontato una pena di 25 anni e oggi, che ne ha sessanta, ha deciso di aiutare i più deboli. Collabora con gli avvocati di strada e spera di poter essere ricordato da qualcuno per avergli fatto del bene. Racconta la quotidianità dei detenuti stranieri, che gli stanno particolarmente a cuore: “In una cella di 3 metri per 2,40 ci stanno in tre, hanno la doccia, perciò non è necessario che escano neppure per lavarsi. Stanno li 21 ore su 24, tre ore sono concesse per una boccata d’aria. Ma il resto del tempo è vuoto, inutile, non passa mai. Non ci sono abbastanza lavori da assegnare a tutti e così si finisce per fare i conti con lo sconforto, la pesantezza, persino con la voglia di morire”.


“Molti sono vittime della legge Bossi-Fini - continua Salvatore - clandestini colpevoli di piccoli reati. Devono scontare due, cinque o dieci anni, ma per loro è più difficile rispetto che per molti italiani ottenere il rito alternativo e lo sconto di pena. Perché sono immigrati in un paese straniero. I più non ricevono visite. Sono condannati a un isolamento totale dalle circostanze, non da un tribunale”. Poter leggere un libro nella propria lingua sarebbe un passo verso l’esistenza civile da concedere anche se chi ha sbagliato è straniero. E se, come qualcuno dice, la lettura nobilita l’animo, è un peccato negarla a chi ne sente il bisogno.


“La civiltà, quella autentica, si trova spesso nelle cose che non si vedono. Nei luoghi remoti, oscuri del vivere: quelli del dolore, della sofferenza. Delle marginalità. Delle privazioni: come il carcere. Dove ogni giorno la parola civiltà deve essere alimentata, sostenuta, tenuta in vita, con rigore e perseveranza (quasi come un fiore), da chi vi opera e da chi è in stato di detenzione. Una parola che va rinfocolata, rivitalizzata anche dall’esterno: dall’intervento degli uomini “liberi”. Che non devono rimanere indifferenti. Come se il carcere fosse altro da loro. Distinto. Distante.


Il carcere è, nella sua drammaticità, l’altra faccia del salotto buono. Col carcere bisogna fare i conti.

Fino in fondo. Perché la civiltà o comprende tutto e tutti o non è civiltà. E un libro può rendere meno incivile, meno, inutilmente crudele questo luogo. Un libro in cui la parola civiltà lasci intravedere, seppure in lontananza, la parola libertà”. Con queste parole Roberto Morgantini e Mattia Fontanella hanno voluto lanciare la propria richiesta di donare un libro per la biblioteca della Casa Circondariale “Dozza” ad ambasciate, consolati, aziende e privati.


Chi volesse rispondere all’appello, può far pervenire i testi al Centro Lavoratori Stranieri CGIL in via Marconi 69/d;Bologna tel 051.6087190.  cell 3357456877. Naturalmente i libri devono essere in lingua straniera (araba, francese, inglese, spagnolo, russa, albanese, rumena, etc.).