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  Saturday 14 May 2005 16:06:35  
From:
Alessandro Rizzo   Alessandro Rizzo
 
Subject:

"L’eccidio di Strà – La banda Maroder-Pasini"

 
To:
ANPI   ANPI
 
25 aprile 1945 – 25 aprile 2005:
L’ATTUALITA’ DEI VALORI DELLA RESISTENZA
recensione di "L’eccidio di Strà – La banda Maroder-Pasini"
(Edizioni Pontegobbo – euro 12,00)
ed intervista con l’autore,
Ermanno Mariani
di Francesco Barilli, per Ecomancina.com
Con il passare degli anni parlare della Resistenza antifascista si fa sempre più difficile. Sembra che le pagine del libro di storia che affrontano il periodo 1943/45 diventino via via più sbiadite e confuse. Certo: "sbiadite" lo diventano per un processo naturale, per l’inesorabile passare del tempo, ma se si fanno "confuse" lo dobbiamo anche ad altri motivi, molto meno giustificabili. Negli ultimi anni abbiamo assistito al tentativo di una riscrittura di quella fase storica e di una rivalutazione etica di quegli italiani che si schierarono a favore dell’occupazione nazi-fascista; tutto questo in nome di una possibile "riconciliazione" che (al di là delle intenzioni con cui viene proposta, che possono essere dalle più nobili alle più opportunistiche) rischia di diventare una pietra tombale piazzata sopra ai valori dell’antifascismo, sui quali è fondata questa Repubblica. Conseguentemente molti episodi tragici di quegli anni appaiono sempre più sfuocati, e di altri episodi, a torto o a ragione da subito considerati "minori" o confinati in un ambito locale, si va perdendo la memoria.
Ermanno Mariani, nel suo "L’eccidio di Strà – La banda Maroder-Pasini", si occupa proprio di uno di questi episodi, ingiustamente dimenticato da molti.
Il 30 luglio 1944 a Strà, piccolo borgo della Val Tidone, furono trucidate 9 persone, fra cui donne, anziani ed un bambino di soli due anni. Una strage (compiuta probabilmente come rappresaglia) i cui autori sono rimasti impuniti e, ufficialmente, non individuati: tedeschi secondo alcuni, fascisti secondo altri; un gruppo misto secondo la ricostruzione dell’autore.
Ma Ermanno Mariani non si ferma al solo eccidio di Strà; la sua faticosa ricerca documentale lo porta a ricostruire le imprese di una banda armata, una sorta di "polizia speciale antiresistenza", agli ordini delle SS Tedesche ma composta sia da tedeschi che da italiani. Un gruppo di uomini che operò non solo nel piacentino, ma pure nel parmense e in Toscana, distinguendosi per la determinata ferocia delle proprie azioni. Fra questi episodi sicuramente spicca l’uccisione di 22 partigiani, una sorta di esecuzione extragiudiziale che avvenne la notte del 25 gennaio 1945: i partigiani vennero prelevati dalle carceri di Piacenza e "fatti sparire"; i cadaveri non vennero mai ritrovati…
Il libro affronta anche, marginalmente, un aspetto affascinante e dai contorni vagamente leggendari dell’eccidio di Strà: secondo voci di paese, i nomi dei responsabili sarebbero scritti su un biglietto, che fu infilato in una bottiglia poi gettata nelle fondamenta del monumento dedicato ai caduti di quella strage. Non so se l’episodio sia vero o se si tratti di una "leggenda urbana", che contribuisce solo a dare un ulteriore alone di mistero ad una storia vera, terribile, crudele… Mi piace però pensare che il libro di Mariani e così pure questo articolo siano anch’essi una sorta di "messaggio nella bottiglia", un messaggio che non deve andare perduto per ricordare (usando le parole dell’autore) "cosa può portare una guerra in casa e quali mostri e fantasmi può produrre". E questo, in tempi in cui si teorizza la guerra preventiva come possibile risposta al terrorismo internazionale, deve farci riflettere…
***
intervista con Ermanno Mariani – Piacenza
Francesco Barilli:
Nei tuoi libri ti sei occupato soprattutto della Resistenza nel Piacentino: solo affetto per le tue origini o c’è dell’altro che ti ha spinto a questa scelta?
Ermanno Mariani:
Anche. Ma soprattutto direi che c’è da parte mia la passione storica della ricerca del periodo più straordinario della storia recente. Quel periodo che ha visto una generazione mettersi in gioco per offrire qualcosa a chi sarebbe venuto dopo: la libertà e la democrazia. Non è poco, c’è da riflettere.
F.B.:
In una tua intervista hai detto che, pur basandoti per i tuoi libri su fatti realmente accaduti e su ricerche documentali e d’archivio, preferisci uno stile di scrittura più narrativo. Nell’Eccidio di Strà, invece, hai preferito una ricostruzione rigorosamente storica: puoi spiegarmi il perché di questa diversa scelta?
E. M.:
L’eccidio di Strà è una storia agghiacciante. Un vero horror, non però un horror - splatter di quelli che si vedono al cinema da consumare con pop corn, patatine e pomodoro finto che la fa da sangue. L’eccidio di Strà e quello che hanno combinato quelli della banda Maroder - Pasini, sadici o psicopatici, dediti alla tortura sfruttata come arma politica, è una storia dell’orrore vera. Ho sempre creduto che la realtà supera la fantasia e quello che hanno fatto questi "signori" ne è l’esempio. Con sofferenza ho quindi gettato alle ortiche quello che avrebbe potuto essere un romanzo (e il mio editore assicuro che avrebbe preferito un romanzo su questa vicenda) e ho scritto un testo storico. Perché io spero, come hai detto tu, di lasciare un mio piccolo messaggio nella bottiglia. Perché vorrei che più gente possibile capisca quali mostri produce una guerra in casa che vede fratelli contro fratelli. In sintesi un tremendo urlo di terrore. E’ molto meglio sempre parlare, confrontarsi con chi la pensa diversamente, discutere civilmente... in un contesto democratico. Le dittature non lasciano questo spazio e inevitabilmente si scivola nell’orrore, come sessanta anni fa…
F.B.:
A proposito di ricostruzioni storiche: quanto è stata difficoltosa la ricerca di materiali per questo libro?
E. M.:
Direi molto difficoltosa. Le fonti da me utilizzate: documenti d’indagine di carabinieri e squadra mobile compiuti sull’eccidio di Strà nell’immediato dopo guerra. Carabinieri e polizia lavorarono bene e a mio parere da quelle carte emergono i nomi dei responsabili di quell’eccidio e di altre stragi. Tuttavia esaminando quei carteggi ne emerge un gran pasticcio in fase dibattimentale. Per esempio l’istruttoria dedicata al massacro di Strà e alle stragi commesse dalla banda Maroder - Pasini, si fraziona in centinaia di rivoli. In questo modo è diventato più difficile appurare le responsabilità dei singoli e molti sono rimasti impuniti, non c’è di conseguenza mai stato un vero processo per quel fatto. Tuttavia dalle carte degli investigatori, si possono ancora oggi capire molte cose. Si tratta di documenti che per legge sono ancora segreti. Le carte dedicate alle stragi avvenute in Italia durante la seconda guerra mondiale, sono vincolate da segreto per settanta anni. Io ho potuto aggirare l’ostacolo grazie ad una recente norma dell’ultimo governo di centrosinistra che ha abbassato a cinquanta anni il segreto. Ho però dovuto fare domanda al Ministero dell’Interno, alla Prefettura, all’Archivio di Stato, dimostrare che avevo già scritto libri su quel periodo, sottostare ad una lunga serie di vincoli, anche complessi. Prima di ricevere risposta dal Ministero ho atteso un anno. Ormai avevo accantonato la questione ed ero certo si fossero dimenticati di me, invece...
F.B.:
Tu chiudi il tuo libro con un’intervista ad un uomo che fu accusato per quei fatti. Ovviamente non è questa la sede per approfondire la questione o per discutere di sue eventuali colpe, ma volevo chiederti un’impressione umana su questa esperienza. Che ricordi ti sembra avere di quella fase della sua vita? Ritieni che, in qualche modo o misura, i sessant’anni passati lo abbiano in qualche modo cambiato?
E. M.:
Quell’uomo non mi è parso cambiato, dai suoi discorsi ho capito che a suo parere quell’eccidio andava giustamente fatto perché un tedesco era stato ucciso, anche se nessuno fino ad oggi lo ha dimostrato con una prova oggettiva. Parlando con lui sono riuscito a spiegare, penso inutilmente, che le leggi di guerra prevedono il diritto di rappresaglia con un rapporto di dieci a uno, ossia quello esercitato dai tedeschi in Italia in centinaia e centinaia di stragi. La rappresaglia secondo le leggi di guerra prevedeva però che le vittime fossero scelte dall’esercito occupante sulla popolazione dei maschi adulti, di età compresa fra i 18 e i 60 anni. A Strà nessuno dei massacrati era maschio adulto fra i 18 e i 60 anni. Quel fatto è quindi divenuto crimine contro l’umanità e per legge non va in prescrizione, i responsabili di quell’eccidio sono tuttora perseguibili e, a quanto mi risulta, la magistratura di Piacenza ha al vaglio un esposto nel quale si chiede di riaprire le indagini su quel massacro, anche alla luce di quelle indagini svolte nel 1945 da carabinieri e polizia e, diciamolo, probabilmente e vergognosamente insabbiate per motivi politici (come la stragrande maggioranza delle stragi nazifasciste) dai governi italiani a cavallo fra gli anni quaranta e cinquanta. Quell’uomo mi è parso coerente con ciò che fu nel passato, ossia era del tutto convinto di aver combattuto per una causa giusta, del resto mi disse "sono cresciuto con il culto di Mussolini, ero fascista e lo sarò sempre".
F.B.:
Una domanda che ho già fatto a Giovanni Pesce e ad Ivano Tagliaferri, ma mi sembra doveroso ripeterla a te e chiudere con essa la nostra chiacchierata: stiamo assistendo a molti tentativi di rivisitazione del fascismo; abbiamo sentito dire che il 25 aprile dovrebbe essere vissuto come occasione di riconciliazione fra italiani piuttosto che come ricordo della Liberazione… Tu che hai approfondito la ricerca storica di quegli anni, cosa rispondi a queste affermazioni?
E. M.:
Io penso che il 25 aprile dovrebbe diventare una festa popolare, un po’ come il giorno dell’indipendenza in America o la presa della Bastiglia in Francia. Le stucchevoli cerimonie militari in piazza, che pur ci possono stare, sono però retoriche e hanno il solo risultato di far fuggire i giovani dall’avvenimento. Meglio un bella festa in piazza con gruppi musicali che suonano e cantano, magari remixate, canzoni partigiane. Ricordare con spettacoli teatrali e presentazioni di libri. Ma meglio ancora sarebbe che ognuno possa vivere il 25 aprile a modo suo, facendo però festa, magari con una gita in campagna fra parenti o amici, o trascorrendo una giornata in casa con un buon libro. E ricordando, anche solo per un attimo, che la libertà di cui godiamo oggi, tantissimi l’hanno pagata al massimo prezzo: con la vita. Chi non festeggia il 25 aprile non ha coscienza democratica, i suoi geni non sentono il respiro della libertà e di conseguenza più o meno inconsapevolmente preferisce ad un governo democratico, un governo autoritario. Di sicuro o è un ignorante (nel senso che ignora la storia) o un nostalgico fascista.
Francesco Barilli, di Ecomancina.com


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