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  Wednesday 12 October 2005 17:17:34  
From:
Alessandro Rizzo   Alessandro Rizzo
 
Subject:

PAUL RICOEUR Il futuro nasce dalla memoria

 
To:
ANPI   ANPI
 
FRANCOIS EWALD
PAUL RICOEUR Il futuro nasce dalla memoria
Il grande filosofo francese parla della sua nuova opera: un saggio sulla
necessità di non dimenticare il passato. Ma anche su come liberare il
fondo di bontà che esiste in ogni uomo
 
Paul Ricoeur ci riceve nella frescura e la calma dei "Murs blancs", sede
della comunità personalista di Châtenay-Malabry. Il filosofo traccia
l'itinerario che lo porta alla sua ultima opera, La Mémoire, l'histoire,
l'oubli (edizioni du Seuil, Parigi). Come descrivere un lavoro che
comincia negli anni '50 con una tesi sulla "Filosofia della volontà" e
continua oggi con un libro sulla memoria?
"Non ho una mia filosofia personale che dipano di libro in libro.
Tutte le mie opere hanno un obiettivo ben preciso. Ho sempre pensato in
termini di problemi, che sono discontinui. È solo dopo che cerco di
tracciare una linea. Mi sembra che la continuità del mio lavoro sia stata
assicurata dai "resti", poiché ogni libro lascia un residuo dal quale,
ogni volta, prendo lo slancio. Il mio primo lavoro è una filosofia della
volontà che ho portato avanti come discepolo di Husserl, il quale era
molto vicino a Maurice Merleau-Ponty. Questi s'era occupato della
percezione; io ho lavorato sul versante dell'azione, visto che, per la mia
cultura protestante, le mie preoccupazioni erano la cattiva volontà e la
colpevolezza. Mi sono chiesto cosa fosse e cosa potesse fare una volontà
libera: cosa volere? Quali sono i limiti? Qual è la parte
dell'involontario? Questo primo lavoro - Il volontario e l'involontario ,
1950 - lasciava un residuo che avevo scartato fin dalla prefazione: il
problema del male". Lei descrive la storia dei suoi lavori come se fossero
tutti una sorta di seguito del
 primo libro. Ma il libro da lei dedicato oggi alla memoria è nel pieno
del presente. La nostra società è ossessionata dai problemi della memoria.
E la storia vi occupa un posto importante. Anche il lavoro giudiziario, in
un certo modo, è un lavoro di memoria. Non riusciamo a liberarci, forse a
giusto titolo, dai problemi della guerra e della Shoah.
"Nei dibattiti degli storici intervengo un po' come uno straniero.
Come pensare i rapporti fra storia e memoria senza trattarli da nemici?
Sono molto diffidente riguardo all'idea d'un dovere di memoria. Cerco di
equilibrare l'idea d'un imperativo della memoria con quella d'un lavoro di
memoria. Né c'è da rivendicare la memoria contro la storia, poiché le
memorie ferite difendono indefinitamente la propria disgrazia contro la
disgrazia degli altri, l'ignoranza o il disprezzo degli altri". In cosa
consiste il pericolo?
"Per ragioni profonde e rispettabilissime, la sventura non è
condivisibile. Le memorie ferite non sono capaci di dire: la mia è una
disgrazia fra tante altre. Ogni volta c'è una singolarità della
disgrazia". Qual è la sua differenza rispetto a ciò che Platone,
Aristotele, Sant'Agostino hanno scritto sulla memoria?
"Io apporto un cambiamento nell'ordine dei quesiti. Esaminiamo la
questione del ricordo. Spesso, per ammirazione verso Sant'Agostino, si
parte dal: "Mi ricordo di me stesso". È meglio cominciare da: cosa vuol
dire avere un ricordo di qualcosa? Ho seguito la vecchia pista
husserliana: qual è l'oggetto della memoria? Non il suo soggetto, ma il
suo oggetto. Cos'è un ricordo, qual è la differenza rispetto a
un'illusione, a un'immagine? Si arriva così all'idea d'immagine-ricordo.
Il secondo momento è: come si cerca un ricordo? Il greco aveva due parole
per designare la memoria, mnémè , che è la memoria: ho un ricordo che
nasce nella mia mente; e anamnésis : cerco il ricordo.
Allora, qual è il rapporto fra il pathos di memoria e la prassi della sua
ricerca? Ed è qui che subentra la storia, che è un motore di ricerca. Ma
perché è un motore di ricerca? Perché non ha la mnémè , il momento del
riconoscimento. Mentre la memoria ha un accento che le è proprio e che è
il ricordo vivo e riconosciuto, la storia costruisce all'infinito, nella
speranza di ricostruire.
L'intenzione dello storico consiste forse nella riscrittura. Quando
qualcuno comincia a scrivere un nuovo libro sulla Rivoluzione francese,
significa che le opere precedenti non lo soddisfano; pretende di
aggiungere qualcosa". Che significa per l'uomo avere la memoria?
"Col tempo, noi cambiamo. Come posso restare lo stesso attraverso il
cambiamento? La coscienza di sé non è un'identità invariabile. Al
contrario, si tratta di una "identità narrativa", costruita cioè nel
cambiamento. Per questo occorre che io abbia conservato qualcosa del
passato per poter costruire con le sue tracce, legarle le une alle altre
in un orizzonte di progetto. Non si può separare la memoria dal progetto e
quindi dal futuro. Noi ci troviamo sempre fra il riepilogo di noi stessi,
la volontà di dare un significato a tutto ciò che ci è capitato, e la
proiezione nelle intenzioni, nelle aspettative, nelle cose da fare".
Affrontando il tema della memoria, s'incontrano necessariamente temi come
quelli della colpevolezza o della responsabilità.
"Sono molto grato al libro che Karl Jaspers scrisse nel 1947 sulla
colpevolezza ( Il problema della colpa ). Egli distingue la colpevolezza
criminale, sempre individuale, che compete ai tribunali; la colpevolezza
politica, secondo la quale, essendo io beneficiario di uno Stato che ha
commesso crimini, pur non avendoli individualmente commessi, posso essere
obbligato a riparare; e la colpevolezza morale: quali sono i piccoli atti
di defezione, di negligenza attraverso cui ho contribuito ai crimini?
All'inizio del mio lavoro parlo anche di un'altra responsabilità, legata
al fatto che nell'uomo esiste un fondo cattivo. Questa responsabilità non
compete ai giudici né ai politici né ai moralisti, ma a una meditazione di
sé su di sé e con i propri amici. Tale dimensione è per me il religioso:
al di fuori della sua frammentazione in molteplici confessioni, esso
consiste a liberare il fondo di bontà dell'uomo, nascosto sotto una spessa
coltre di cattiveria". Forse oggi manca lo spazio religioso per poterci
occupare
della colpevolezza morale?
"Abbiamo bisogno di grandi simboli per strutturare quello spazio oscuro
della cattiveria che non si lascia analizzare né in termini giuridici né
in termini politici o morali e che riporta a ciò che Kant chiamava il male
radicale, contrapponendolo alla bontà originale. Ma, per quanto radicale
sia il male, esso non è così profondo come la bontà. Qualunque sia il male
commesso, in ogni uomo esiste una particella di bontà da tirar fuori. La
religione non è fatta per condannare; è una parola che dice: "Tu vali più
delle tue azioni". Si può liberare il fondo di bontà che è in ciascuno di
noi se si accetta d'essere strutturati dai grandi simboli che sono alla
base delle grandi religioni". Michel Foucault, appoggiandosi su "Cos'è
l'Illuminismo?" di Kant, diceva che il compito della filosofia era
d'identificare il presente. Lei iscrive il suo lavoro filosofico in una
prospettiva atemporale.
"Non atemporale, ma transtemporale. Tutti i libri sono aperti sul mio
tavolo. Non ce n'è uno che sia più vecchio dell'altro. Un dialogo di
Platone è qui, adesso, per me. Pur essendo iscritto nel tempo, esso non è
scalfito dal tempo; può essere decontestualizzato e ricontestualizzato. E
questa capacità indefinita di contestualizzazione e ricontestualizzazione
fa il suo classicismo. I classici del pensiero sono le opere che, per me e
altri, resistono alla prova del cambiamento. Io credo a questa specie di
strana contemporaneità, di dialogo dei morti, guidato però dai vivi".




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