<<Kyo, supino, le braccia deposte sul petto, chiuse gli occhi: era proprio la posizione dei morti. Si immaginò, disteso immobile, gli occhi chiusi, il volto sereno della serenità che la morte dispensa per un giorno a tutti i cadaveri, come se in questo si dovesse esprimere la dignità anche dei più miserabili. Aveva visto molti morire e, aiutato dall'educazione giapponese, aveva sempre pensato che è bello morire la propria morte, di una morte che somigli alla propria vita. Poi, morire è passività, ma uccidersi è un atto.>> Da "La condition humaine" di André Malraux.
Certo, di fronte alla prospettiva di morire bruciato vivo dentro la caldaia di una locomotiva si può ben comprendere che Kyo ritenga migliore la capsula di cianuro che nasconde.
Poco dopo Katov, il russo, cederà il proprio cianuro a due giovani compagni che ne faranno buon uso. Egli s'incamminerà, seguito dall'amore dei compagni ancora vivi, verso quella morte infernale che sarà segnata dal fischio urlato della locomotiva.
Nel nostro caso non abbiamo di fronte la soldataglia di Ciang Kai-shek e le fauci fiammeggianti della caldaia, nemmeno in senso virtuale. Tuttavia mi pare che se, quando una conferenza "muore", esaurisce ogni attività, i(l) moderatori(e) accompagnassero la stessa con epitaffi e brevi narrazioni riguardo la "vita" delle loro "creature", ciò costituirebbe una morte assai più degna, "una morte che somigli alla propria vita" appunto.
Oltre al fatto che si sgraverebbe il necroforo dalla parte più "delicata" del proprio dovere.
to necroforon
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