DALLA RICONVERSIONE POST-BELLICA ALL'INGRESSO NELL'I.R.I.

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Alla fine della Grande Guerra, nel 1918, la Società Anonima Ing. Nicola Romeo (che aveva cambiato denominazione all'inizio del 1918) è al centro di una grave crisi derivante dalla crescita accelerata delle capacità produttive per le commesse di guerra, e dalla necessaria riconversione verso le attività di pace.

Questa era più una crisi di identità che economica, infatti gli enormi profitti di guerra (oltre £ 6.300.000.= nel solo 1918) furono reinvestiti nell'acquisto "delle Costruzioni Meccaniche di Saronno, nelle Officine meccaniche di Roma (ex Tabanelli) e le Officine Ferroviarie Meridionali di Napoli.

Vennero così accumulandosi nuovi problemi di finanziamento, riconversione e gestione tecnica di un aggregato di attività industriali molto eterogeneo e frammentato".[1]

Nello stabilimento del Portello nel 1919 lavoravano circa 2.200 operai, inserito in quel vasto gruppo prima citato, le officine vennero adibite a svariate produzioni quali: compressori, martelli perforatori, aratri, trattori agricoli del tipo Titan, spaccapietre e mescolatori per cemento, sonde di vari tipi, freni ad aria compressa.

Nelle Fucine, che si erano intanto qualificate per la qualità produttiva e delle maestranze, si producevano respintori, tenditori, ganci di trazione e vario materiale ferroviario, mentre la Fonderia di ghisa e acciaio venne ampliata per produrre bronzi speciali, alluminio e sue leghe.

La produzione automobilistica riprese timidamente fin dal 1918 immettendo sul mercato un centinaio di automobili che fu possibile realizzare grazie alle scorte di materiale anteguerra presenti nei magazzini.

Vennero così montate dieci 15/20HP e novantacinque 20/30HP, fatto significativo fu l'apparire, su questa produzione, del marchio Alfa Romeo ottenuto salvaguardando la vecchia denominazione con l'aggiunta del cognome dell'ing. Romeo.

Gli utili delle attività collaterali si mantennero abbastanza alti, ma i nodi connessi al processo di riconversione stavano ormai per venire al pettine "tanto più che alle difficoltà economiche si aggiunsero le conseguenze dell'occupazione delle fabbriche, nell'ultimo scorcio del 1920".[2]

Fu quello dell'occupazione delle fabbriche l'episodio più eclatante del cosiddetto "biennio rosso" che vide contrapposti gli industriali agli operai che rivendicavano obiettivi economici e normativi (le otto ore furono conquistate dagli operai metallurgici nel 1919) che nel loro sviluppo diverranno anche di tipo politico.

Saranno le officine del Portello, che nel 1920 furono serrate per prime, e far scattare la scintilla dell'occupazione delle fabbriche in tutto il paese.

Questo fu il telegramma del prefetto al Ministero degli Interni in quella occasione: Ore 22,30 del 30 agosto 1920; Mentre Federazione Industriale Metallurgici appena tornato da Roma aveva assicurato che la serrata sarebbe rimandata ad ulteriori colloqui che dovevano aver luogo il 31 agosto, ditta Romeo, per quanto ripetutamente pregata non farlo, ha chiuso stamane officina all'infuori di ogni accordo con la federazione. Per conseguenza operai di tutti gli stabilimenti hanno deciso di non abbandonare stabilimenti stessi occupandoli. Stabilimento Romeo viene vigilato. Disposti pattuglioni per vigilanza città.

Conclusasi nell'ottobre 1920 l'occupazione delle fabbriche da parte degli operai con un compromesso elaborato da Giolitti, che riconosceva ai sindacati facoltà di controllo sulle aziende, l'Alfa Romeo "si trovò alle prese con il pagamento delle nuove imposte sui sovrapprofitti di guerra e con i primi sintomi della recessione che stava investendo tutte le economie europee".[3]

Sempre nel 1920 l'Alfa riprese l'attività sportiva, che aveva iniziato fin dagli albori della propria attività, con le vetture precedenti il conflitto mondiale

Il crollo della Banca Italiana di Sconto, detentrice di quasi metà dei capitali dell'Alfa Romeo, rischiò di portare con sè oltre all'ILVA e all'Ansaldo anche la fabbrica del Portello nel 1921; l'Alfa Romeo riuscì a salvarsi dal dissesto grazie all'intervento del governo Bonomi che fornì gli aiuti necessari a tamponare le file più pericolose.

Al Portello la manodopera venne ridotta del 50% passando da 2.500 a 1.200 operai, si decise altresì di concentrare le risorse tecniche e umane presenti sulla parte meccanico-motoristica.

Ed infatti alla fine del 1921 vennero finalmente sostituiti i modelli anteguerra con una nuova generazione di prodotti denominati RLN (normale) ed RLS (sport), alla fine dell'anno successivo erano già stati prodotti 800 modelli RL.

Diventava intanto sempre più stretto l'intreccio tra le affermazioni sportive e l'impegno produttivo trasferendo sui prodotti le esperienze positive delle gare, la produzione Alfa Romeo cominciava allora ad essere apprezzata per le doti brillanti del motore e per l'affidabilità del prodotto nel suo insieme.

Il ruolo promozionale per le vendite dell'Alfa Romeo attraverso le vittorie sportive convinse, nel 1923, la direzione della fabbrica di costituire al Portello un settore di progettazione e assistenza per le vetture da gran premio affidandolo a Vittorio Jano, un progettista proveniente dalla FIAT, che nel giro di due anni portò, con la leggendaria P2, alla vittoria del campionato mondiale del 1925, aprendo altresì una nuova stagione produttiva dell'Alfa Romeo con i modelli 6C.

La città intanto non minacciava ancora direttamente il Portello che era ancora sostanzialmente isolato nella campagna.

Vicino al Portello si era insediata la carrozzeria Zagato proprio di fronte agli ingressi dello stabilimento, essa, insieme alla carrozzeria Sala situata in corso Sempione (dove poi sorgerà la filiale FIAT) e la carrozzeria Bollani, in via Castelvetro 36, fornivano agli châssis dell'Alfa Romeo le carrozzerie che i clienti venivano a scegliere direttamente allo stabilimento.

Altre presenze erano la famosa Trattoria del portello in fondo alla attuale via Traiano, che era un punto di aggregazione degli appassionati dell'automobile del tempo che potevano permettersi di ristorarsi a prezzi molto alti, mentre per gli operai il punto di aggregazione era una diroccata osteria che sorgeva a fianco del fabbricato della Zagato, in questa osteria durante le pause dal lavoro gli operai si concedevano qualche panino o una partita a carte.

Sotto l'attuale filare di alberi visibili in via Traiano scorreva il torrente Mussa, dal quale più a nord (all'altezza dell'attuale piazzale Accursio) traeva energia un Mulino che venne abbattuto nel 1920 circa.

Per entrare nello stabilimento bisognava attraversare la Mussa, per questo motivo vi erano due ponticelli all'altezza degli ingressi del reparto Alfa e del reparto Trento che venne completamente distrutto dai bombardamenti nel 1944 (queste notizie le abbiamo tratte da un colloquio con Luigi Fusi).

Nel 1925, per alleggerire il passivo dell'azienda si ricorse alla cessione delle partecipazioni ferroviarie, lo stabilimento del portello venne scorporato dal complesso industriale che comprendeva società e officine a Saronno, Roma, Napoli.

Alla fine di quell'anno Romeo venne nominato presidente della società "mentre la direzione venne assunta dall'ing: Pasquale Gallo, poi allontanato nel 1927 perchè antifascista e sostituito dall'ing. Carlo Fachini".[4]

La produzione dell'Alfa nonostante il prestigio acquisito era ancora di un migliaio di vetture l'anno (la FIAT nel 1925 ne produsse 36.000) per realizzare un salto consistente della produzione automobilistica bisognava estendere la presenza commerciale ed un notevole potenziamento delle strutture produttive, ma le conseguenze di una crisi generale che si stava profilando a livello internazionale fece optare per un rafforzamento delle capacità produttive in campo aeronautico.

Venne così acquisita la licenza Jupiter nel 1926 per la produzione di motori aeronautici ottenendo nel periodo di avviamento della produzione l'assistenza dell'industria francese Gñome e Rhône.

Nel 1927 le difficoltà economiche e finanziarie erano ancora molto pesanti e si ricorse ancora una volta al licenziamento di circa un migliaio di operai, il numero di dipendenti tornò ad essere al Portello uguale a quello degli anni più difficili del primo dopoguerra, cioè circa 1.200.

Le cose andarono avanti senza migliorare negli anni successivi tanto che si facevano sempre più insistenti le voci di una chiusura definitiva "ma Mussolini -sia perchè pressato dalle autorità locali, sia perchè ravvisava l'opportunità di bilanciare in qualche modo la preminenza della Fiat- decise nel dicembre del 1933 di mantenere in vita l'Alfa designando a dirigerla un tecnico di grande valore: Ugo Gobbato".[5]

Anche sull'Alfa si erano abbattuti gli effetti devastanti della grande crisi del 1929, ed era toccato allo stato l'intervento per salvare il salvabile costituendo l'I.R.I., Istituto per la Riconversione Industriale.



[1] A.T.Anselmi "Alfa, immagini e percorsi" 1985

[2] A.T.Anselmi op. cit.

[3] A.T.Anselmi op. cit.

[4] A.T.Anselmi op. cit.

[5] A.T.Anselmi op. cit.