UNA CRISI ANNUNCIATA |
3 |
|
L’ALFA ROMEO: QUALI PROSPETTIVE PRODUTTIVE E INDUSTRIALI | ||
Nel corso di questi due anni la FIAT ha subito prima degli altri
produttori gli effetti della crisi perdendo nella sua roccaforte italiana il 15% del
mercato (da una quota di circa il 60% ad una del 45%) e passando dal 1°
al 4° posto in Europa dopo il gruppo Volkswagen, General Motors e Peugeot,
con una quota dell'11,9% nel 1992 pari a quella dei produttori giapponesi. La
fase critica che attraversava la FIAT era già in quel momento evidente ma
venne sostanzialmente attenuata dalle rassicuranti dichiarazioni del dott.
Annibaldi, dimostratesi alla luce dei fatti largamente inattendibili, sia
riguardo i volumi produttivi del gruppo che per le tranquillizzanti
affermazioni sugli investimenti per l'area lombarda e piemontese. Lo
stesso dott. Magnabosco, Direttore del personale della FIAT auto, ha
recentemente riconosciuto che le
previsioni dell'azienda erano sbagliate e che l'Europa occidentale è
ben lungi dal raggiungere il traguardo dei 15 milioni di automobili per la
fine del decennio '90 (per quest'anno e presumibilmente per il prossimo si
venderanno 11,5 milioni di automobili). Le nostre osservazioni critiche purtroppo erano fondate
tanto che sia nell'area milanese che in Piemonte nel corso del 1992
abbiamo assistito alla chiusura di ben tre stabilimenti automobilistici,
l'Autobianchi di Desio, la Maserati a Lambrate e la Lancia di Chivasso. A
questo stillicidio dobbiamo poi aggiungere la sistematica cassa
integrazione negli stabilimenti del gruppo e particolarmente in quello
dell'Alfa di Arese dove la CIG era stata avviata già nell'autunno del
1990 e dove ormai la produzione lavora su un solo turno e per una o al
massimo due settimane al mese. Nel
corso del 1993 la Cassa Integrazione da ordinaria si è trasformata in
straordinaria per tutto il settore auto della FIAT, ed
oggi si prepara ad annunciare tagli consistenti all'occupazione. Dalla navigazione a vista durata quasi tre anni l'azienda esce
fortemente ridimensionata. La
posizione leader della FIAT in Europa, conquistata anche grazie
all'acquisto dell'Alfa Romeo nel 1987, è stata perduta. Numerose e
complesse sono le ragioni dell'attuale situazione: i limiti strutturali
della presenza FIAT sul mercato concentrata su quello nazionale con scarsa
penetrazione estera; i ritardi di innovazione sui prodotti; i livelli di
qualità non competitivi; ma c'è una ragione strategica fondamentale
legata al fatto che la FIAT non è
ancora riuscita a proporre una convincente gamma completa di prodotti in
tutti i segmenti del mercato automobilistico, comprese le gamme medio
alte. La mancata realizzazione del progetto industriale scaturito
dall'acquisizione dell'Alfa Romeo con la costituzione della società
Alfa-Lancia è in questo senso esemplare. Nel
1987 siamo in pieno boom per il settore dell'auto, la FIAT aveva bisogno
di aumentare i volumi produttivi e l'acquisto
dell'Alfa le consentiva di realizzare tre scopi: 1)
l'aumento dei volumi produttivi, 2)
la conquista del monopolio produttivo in Italia, 3) un salto strategico verso le gamme medio alte e sportive del
mercato. L'Alfa
Romeo non era una palla al piede come dissero Agnelli e Romiti (anche
perché nessuno li obbligava ad acquistare l'Alfa che aveva già un
pretendente americano), ma una importante occasione strategica e di
sviluppo per l'industria nazionale. Ma il vantaggio acquisito allora sia per la miopia nelle scelte attuate che per alcuni errori strategici è oggi tutto da riconquistare. Lo scopo della nostra attuale riflessione è quello di considerare aperta la partita per la valenza che ha un settore come quello automobilistico sia in termini occupazionali che di know how complessivo per il paese. |