UN POLO PRODUTTIVO E DI INNOVAZIONE DELL'AUTO IN LOMBARDIA |
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L’ALFA ROMEO: QUALI PROSPETTIVE PRODUTTIVE E INDUSTRIALI | ||
Negli
ultimi anni sono stati profondi i mutamenti avvenuti nel tessuto
produttivo milanese e lombardo legato al settore dell'auto. In
precedenza si è visto ciò che è avvenuto nel 1992 per gli stabilimenti
dell'Autobianchi e dell'Innocenti, ma le
ripercussioni della crisi del settore hanno mutato anche il quadro
delle imprese di componentistica e fornitrici della FIAT: il caso più
eclatante è probabilmente quello della IVI-PPG azienda d'avanguardia a
Milano nella sperimentazione e produzione di vernici destinate all'auto,
azienda che la proprietà multinazionale ha deciso di trasferire con la
motivazione dello spostamento dal Nord al Sud delle produzioni della FIAT.
Casi
minori ma altrettanto significativi sono stati quelli dell'acquisto a
Potenza dell'ex stabilimento Marelli da parte dell'azienda Paganelli di
Cinisello che realizza attività di manutenzione e revisione degli stampi
per lo stabilimento di Arese, oppure la chiusura dello stabilimento SAEM
di Monza (120 dipendenti) che produceva batterie;
sul ruolo industriale della FIAT in Lombardia potremmo anche citare
la recente decisione di chiusura dello stabilimento PIAGGIO di Arcore e la
dispersione del patrimonio di un marchio glorioso come la Gilera. Quanti
altri casi di attività dell'indotto hanno creato problemi occupazionali e
perdita di professionalità e competenze presenti nel nostro territorio?
Non abbiamo ancora fatto un censimento preciso, ma anche su questo aspetto
vogliamo citare emblematicamente l'esempio delle imprese esterne che
operano ad Arese: i giardini
interni vengono curati da imprese e personale provenienti da Torino, le
imprese di pulizia sono tutte dell'area Piemontese, gli appalti in genere
vengono assegnati a imprese piemontesi, siamo oltre l'idea di
colonialismo... La
crisi industriale a Milano ed in Lombardia non ha coinvolto solo il
settore dell'auto, è estesa in tutti i settori minando, proprio per la
sua profondità, la base produttiva non solo della nostra regione, ma
dell'intero paese. Sono i fatti che ci confermano quotidianamente che il
problema del lavoro è prioritario per la stessa tenuta democratica
dell'Italia e per il PDS questo è uno dei nodi fondamentali della
crisi italiana insieme alla questione morale ed istituzionale. E'
da questo punto che tutto il nostro ragionamento ci porta a sostenere con
forza la necessità di favorire una
politica industriale che inverta la tendenza della deindustrializzazione,
per rivitalizzare le risorse e competenze presenti, oltre a favorire un
rapporto nuovo con il tessuto della ricerca ed innovazione di prodotto così
ricco nella nostra realtà, potendo contare sia sulle strutture
universitarie che in quelle private. Questo obiettivo che ha una valenza
generale rende oggettivamente competitiva la presenza di un polo
produttivo dell'auto in Lombardia dando
finalmente una risposta ai lavoratori dell'Alfa di Arese, ma
non soltanto a loro. Per
alcuni anni abbiamo visto che la
FIAT ha affrontato la crisi "navigando a vista", così ha
depauperato complessivamente le sue risorse ritardando inoltre la capacità
di risposta agli eventi negativi. L'obiettivo annunciato di voler
investire consistentemente sulla produzione dell'auto presuppone la
capacità di sapere produrre a
livelli di eccellenza una gamma completa di prodotti e
conseguentemente la valorizzazione di tutte le capacità e competenze
presenti. Questo
è il punto: come è possibile in questa situazione ridurre o abbandonare
Arese ad un ruolo marginale nella progettazione e produzione del gruppo
FIAT, o addirittura pensare di chiudere lo stabilimento? Sono
stati precedentemente richiamati i limiti della politica industriale
italiana e l'assenza più assoluta del Governo per il rispetto degli
impegni assicurati all'atto dell'acquisto dell'Alfa, ma oggi
occorre un salto di qualità perché, di fronte alla crisi del più
grande gruppo industriale privato italiano, anche il Governo ha il dovere
della verifica dei piani strategici, degli indirizzi di sviluppo e degli
effetti che essi avranno sia sul terreno occupazionale che in quello
produttivo. Motivare
questa scelta non è difficile con l'attuale livello di trasferimenti
dello Stato verso la FIAT (per il nuovo polo produttivo di Melfi e Pratola
Serra), ma anche il numero di ore di cassa integrazione effettuate dal
settembre 1990 ad oggi ed il numero dei posti di lavoro persi dovrebbero
spingere ad una verifica delle azioni intraprese per uscire dalla crisi, e
quella odierna per la FIAT è probabilmente la più profonda dal
dopoguerra. I sindacati hanno posto con forza questa questione, Bruno Trentin
segretario generale della CGIL ha chiesto un tavolo immediato di confronto
con il Governo e la proprietà FIAT proprio sul disegno strategico
dell'azienda. In questa situazione una forza consapevole e democratica come il PDS non
vuole stare alla finestra o limitarsi a giudicare le scelte aziendali,
rivendichiamo invece un ruolo attivo avendo a cuore non l'interesse della
famiglia Agnelli ma quello delle centinaia di migliaia di lavoratori del
gruppo. Il
nostro ragionamento ci riporta così alla vicenda dell'Alfa, siamo
consapevoli che se permanesse l'attuale incertezza il destino produttivo e
occupazionale dello stabilimento di Arese è segnato. Le ragioni sono
molteplici, le alternative sembrano essere tra una stentata sopravvivenza
e la chiusura. Molto
poco conosciamo del possibile e auspicabile rilancio
delle attività produttive e progettuali nell'area milanese, noi naturalmente puntiamo a questo risultato che riteniamo utile non
solo per i lavoratori ma strategico per la FIAT. La
chiusura sembra nelle cose: lo spostamento del baricentro produttivo nel
mezzogiorno, l'accentramento progettuale e innovativo a Torino, il
depauperamento tecnologico e umano, investimenti inesistenti, un crescente
livello di cassa integrazione, la sovracapacità produttiva. Con
questo scenario se la FIAT persegue in questa direzione non dimostra solo
incapacità ma dissipa un
patrimonio industriale e produttivo che all'Alfa è riconosciuto
grazie ad una tradizione ed una specificità del prodotto difficilmente
surrogabili, senza considerare poi che la storia produttiva e industriale
di un marchio come l'Alfa Romeo hanno poi le sue radici profonde a Milano
ed in Lombardia. Ma
forse la FIAT non può permettersi il lusso di chiudere Arese senza
conseguenze anche nell'immagine dei prodotti,
ma le voci ufficiose raccolte in questi giorni che preparano una
riduzione di due terzi dell'occupazione, da 9.500 a 3.000
lavoratori, portano ineluttabilmente alla chiusura dell'Alfa, ci risulta
francamente difficile chiamare questa
scelta come sopravvivenza, l'unica cosa che ci sembra chiara è che la
FIAT vuole unicamente tenere il marchio Alfa Romeo. Il rilancio è la via necessaria da intraprendere,
in questo caso la proposta che ci appare più forte è quella del progetto
industriale originario. Vuole la FIAT restare sul mercato? Se la risposta è SI, essa deve necessariamente attrezzarsi per realizzare
una gamma di prodotti ed una loro articolazione completa, in grado di
aprire nuove opportunità di mercato. Essa deve internazionalizzarsi, da
sola non può farcela, ha bisogno di accordi con altri produttori, ma in
attesa di questo evento e per qualificarsi anche davanti agli altri deve
utilizzare le risorse oggi sacrificate dell'Alfa indicando cosa intende
fare dello stabilimento, sia in termini produttivi che nel campo della
progettazione e innovazione di prodotto. Se la risposta è NO il problema diventa nazionale, di strategia e politica industriale del
settore perché non solo la FIAT non è stata in grado in questi anni di
rispondere alla pressione competitiva degli altri produttori, generando
una voragine nella bilancia dei pagamenti, ma ha volutamente sacrificato
un patrimonio come quello dell'Alfa Romeo, che nonostante le difficoltà
della gestione a PPSS, era riconosciuto e apprezzato in tutto il mondo. Se
ci fosse questa risposta allora noi possiamo tranquillamente affermare che
anche il monopolio produttivo dell'auto in Italia è arrivato alla fine e
che se sul mercato ci sono costruttori interessati ad avviare attività
produttive nel nostro paese, questo fatto potrebbe rimettere in
discussione anche le scelte che hanno riguardato l'Alfa Romeo.
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