INTRODUZIONE
di Pasquale Stanziale
LA SOCIETA' DELLO SPETTACOLO OVVERO CRISI DELLA MODERNITA' E SCONFITTA
DELLA POLITICA
E' stato così
che ci siamo definitivamente arruolati nel
partito del diavolo, vale a dire di quel male storico che porta alla
distruzione delle condizioni esistenti, di quella "parte sbagliata" che
fa la storia rovinando ogni soddisfazione prestabilita. [1]
(Guy Debord)
1. I CATTIVI MAESTRI
RITORNANO SEMPRE
Nella seconda metà del XX secolo una visione prese forma di
narrazione e fu tutto più chiaro. Intuizione decisiva, a
compimento di un pensiero snodatosi da lontano e polarizzato sulla
constatazione di un dato di fatto: l'intero sistema economico, sociale
e politico del moderno capitalismo stava dando mano, fra altre
strategie ad ampio raggio, a una trasformazione
dell'individuo di epocale e devastante portata.
Oggi constatiamo che la trasformazione si è attuata, le
profezie del situazionista Debord si sono realizzate e, dopo molte
lotte, illusioni e speranze tradite, ci troviamo immersi in una spettacolarità
generalizzata, da intendersi come elemento unificante e
rappresentativo di un teatro di guerra permanente, frutto maturo della
globalizzazione capitalistica in cui centrale e predominante
è l'epica delle merci e delle loro passioni [2].
Come scrive
Debord,
lo spettacolare diffuso
accompagna l'abbondanza delle merci, lo sviluppo non perturbato del
capitalismo moderno... è in questa cieca lotta che ogni
merce, seguendo la sua passione, nell'incoscienza generalizzata
realizza, in effetti, qualcosa di più elevato: il divenire
mondo della merce, che è altrettanto divenire merce del
mondo.
Malgrado ciò, Debord ha ancora vinto perdendo [3], se
è vero che del suo patrimonio teorico si parla sempre
più spesso: per esempio in occasione di una retrospettiva
dei suoi film a un festival di Venezia, o nei servizi che gli hanno
recentemente dedicato Il
Manifesto e il Magazine
Littéraire. Il lavoro di Debord è
ormai fra i testi base della cultura no-global, come è vero
che "non si può capire il maggio, e nemmeno la guerra a
questo G8, senza aver un po' fantasticato sull'Internazionale
Situazionista [4]".
Il fatto è che al di là della mole di riferimenti
teorici dedicati alla Società
dello spettacolo, al di là di usi, abusi e
richiami patinati, nella filosofia del '900 questo lavoro fornisce un
ambito critico incancellabile:
il momento bellissimo in
cui si dà il via a un assalto contro l'ordine del mondo. [5]
Vale a dire, il momento in cui si definisce il contesto al cui interno
la spettacolarità
giunge a rappresentare la strategia del capitalismo della
globalizzazione, con i suoi assetti relativi alla fine della
modernità, alla sconfitta della politica, alla crisi finale della democrazia
(intesa come sintesi di rappresentanza, libertà e governo).
Al di là di prospettive semplificatrici e al di
là di disinvolte e superficiali citazioni o
strumentalizzazioni decorative (vedi alcune
recenti Introduzioni all'opera di Debord), la Società dello
spettacolo continua a dimostrare, in ambito filosofico, che
le avanguardie hanno un
unico tempo e la fortuna più grande che possono avere
è, nel senso pieno del termine, quella di fare il loro tempo.
[6]
Orbene, il fatto è che il tempo dell'avanguardia
situazionista debordiana è il tempo del capitalismo nel suo
sviluppo storico ben profetizzato da Debord [7].
Ed è questa ragione per cui il cattivo maestro ritorna
continuamente con le sue narrazioni [8]
e con le sue profezie.
2. METAFISICA DEL MARKETING
La società
dello spettacolo
si presenta dunque ancora e sempre come l'ideologia unificatrice
caratteristica del capitalismo del terzo millennio, nel contesto di una
crisi della politica sempre più marcata.
La spettacolarità può assumere varie forme: si va
dalla
strategia del "terrorismo-spettacolo" [9]
- che consente alle classi di
potere, nei vari paesi dell'imperialismo, di ridisegnare l'ordine
mondiale in funzione dell'interesse delle multinazionali - sino a un
"voyeurismo televisivo" generalizzato, in cui la fiction si installa
sempre più nella realtà, sotto
l'occhio onnipresente
delle telecamere, confermando ulteriormente che "il vero
è
un momento del falso". [Tesi
9]
Nello scenario del mercato mondiale, il primato dell'economia
capitalistica sulla politica, oltre ad avere una serie di pesanti
conseguenze (dalla crisi dello stato-nazione allo stato di guerra
permanente [10]), costituisce
anche un quadro nuovo dei rapporti
sociali di produzione in cui al disprezzo della produzione e al
rinnegamento della fabbrica corrisponde un'ideologia "spettacolare"
centrata sul marchio:
entità in grado di trasmettere una serie di valori che la
società dello spettacolo è chiamata a riconoscere
e
condividere nel consumo [11].
E' una vera e propria precarizzazione del processo produttivo, con una
crescente limitazione degli investimenti ad esso dedicati, a vantaggio
di investimenti massicci nel marketing
divenuto un settore sempre più autonomo e decisivo. Sono
questi
gli elementi della nuova frontiera della società dello
spettacolo, che lega economia e spettacolo, ben messi in evidenza
dalla Klein, che a sua volta si richiama a Debord quando parla di
"interferenza culturale", come riferimento al détournement
[Tesi 208]
che costituisce uno dei punti fondamentali della strategia
situazionista: strategia che in tempi relativamente recenti
è
stata attuata in Italia dal gruppo Luther Blisset [12].
3. ULTIME FRONTIERE DELLO
SPETTACOLO: L'IMPERIALE E IL VIRTUALE OVVERO NON C'E' PIU' UN FUORI,
SIAMO TUTTI DENTRO
Nell'artificio
generalizzato del nuovo ordine civile [13]
si inscrive la fine della modernità (intesa come trionfo del
simulacro e conseguente indebolimento della storicità [14]). A questo artificio totalizzante corrisponde l'affermarsi dello
"spettacolo imperiale", chiuso ad ogni dimensione o riferimento altro
da sé. E' l'ultima frontiera dello spettacolare, nel
contesto
storico di un dominio imperiale [15]
che si attua
sia come "spettacolo globale" - inteso a recuperare un'unità
fittizia del mondo [Tesi 29] - sia come "virtualità". Mentre
da
una parte, dunque, si realizza la spettacolarità diffusa
descritta da Debord (concentrata e integrata, che nel globale trova
infine il suo compimento), dall'altra si apre una dimensione
simulativa, il virtuale,
contrassegnato da un dileguarsi della realtà. E' il feticismo della merce informatica,
dello spettacolare
simulativo che sul piano ideologico tende a stabilizzare
la presa sull'economia dell'immaginario. [16]
A questo proposito, Hardt e Negri affermano che l'analisi di Debord
"risulta sempre più pertinente e urgente" [17],
in relazione alla spettacolarità imperiale che si presenta
come
distruzione di ogni forma di socialità di massa e con
l'isolamento degli attori sociali. Tale spettacolarità
imperiale, nel momento in cui crea forme di desiderio e di piacere
strettamente legate alla paura, finisce essa stessa col comunicare
paura [18].
Hardt e Negri ritengono che Debord appartenga di diritto a quella
storia del pensiero critico che ha riconosciuto il destino trionfante
del capitalismo, da Lenin a Horkheimer e Adorno. Questi ultimi
scrivevano nel 1947:
Le automobili, le bombe
e il cinema
tengono insieme il tutto finché la loro tendenza
livellatrice
finirà per ripercuotersi sull'ingiustizia stessa a cui
serviva. [19]
Mentre Marcuse affermava nel 1964 che
al progresso tecnologico
si
accompagna una razionalizzazione progressiva ed anzi la realizzazione
dell'immaginario... l'Immaginazione non è rimasta immune dal
processo di reificazione. [20]
Nel 1967 Debord [Tesi
21] ci parla di come nella "moderna società
incatenata" il sogno
divenga sonno
e di come lo spettacolo sia il guardiano di questo sonno.
4. LO SPETTACOLO
DELL'IMPRESA E' L'IMPRESA DELLO SPETTACOLO OVVERO IL PADRONE PLUS-GODE
COME UN PAZZO
Il momento infine in cui la crisi della modernità si iscrive
nella globalizzazione dell'economia con connesso plus-godimento [21] (Lacan direbbe: il trionfo del
"discorso del Padrone") è quello in cui l'impresa
si afferma come modello organizzativo [22]
basato su un ordine sociale
e su una logica produttivistica e di mercato. Ma mentre prima
ciò
avveniva in un ambito di scambio, col riconoscimento all'individuo
di alcuni diritti, oggi, attraverso una diffusa retorica spettacolare,
attraverso l'affermazione del "falso indiscutibile" [23],
la cultura
economica prevalente, è divenuta "destino" per gran parte
degli
individui che passivamente la accettano nonostante le vistose
conseguenze negative [24].
Si tratta del dominio generalizzato dell'impresa che, subordinando
anche gli Stati-nazione - con la conseguente crisi della politica - si
propone come spettacolo
globale di un ordine e di una logica che gli
individui si trovano a condividere come attori dello
spettacolo vincente.
L'impresa, come struttura costitutiva del potere imperiale,
è
fondamentalmente comunicazione di massa della società dello
spettacolo. Tra le mote cose, ciò significa in primo luogo
che
la medialità spettacolare costituisce un ambito proprio
della
"società del controllo" (come la intende Foucault [25]) ovvero
di una società in cui s'instaura un nuovo paradigma di
potere
basato sulle
macchine che colonizzano
direttamente
i cervelli (nei sistemi della comunicazione, nelle reti informatiche
ecc.) e i corpi (nei sistemi di Welfare, del monitoraggio delle
attività ecc.), verso uno stato sempre più grave
di
alienazione dal senso della vita e dal desiderio di
creatività. [26]
Le medialità spettacolare, come esercizio del potere
imperiale, opera quindi attraverso la merce che tende a occupare
il desiderio, attraverso la biopolitica [27],
attraverso le tecnologie
della comunicazione che veicolano saperi atti a fondare
soggettività fittizie, ad alimentare bisogni e consensi
verso la
merce e l'impresa: uno spazio in cui la verità
non ha più alcuna attrattiva.
Queste nuove servitù [28]
- per cui più i servi si
sentono padroni più affermano la loro condizione servile [29] -
trovano la propria spiegazione nella strategia del "grande Altro"
lacaniano: figurazione che ben richiama al dominante ordine simbolico
spettacolarizzato dell'impresa che tende a determinare e saturare
sempre di più, in un ambito globale, le dinamiche soggettive
del
desiderio.
LA SOCIETA' DELLO SPETTACOLO: PROPOSTA PER UN DETOURNEMENT
La saggezza non arriverà mai.
(Guy Debord)
La Società
dello spettacolo
rappresenta uno dei testi fondamentali per la lettura e la critica del
capitalismo novecentesco nel suo sviluppo. Il lavoro di Debord
rappresenta un punto di non ritorno nell'ambito di questa critica, nel
senso che sarà sempre della Società dello
spettacolo che
occorrerà tener conto per comprendere in pieno le strategie
di
autoriproduzione ed accumulazione capitalistiche. Proposte di analisi
come quelle contenute nei concetti di accesso rifkiniano,
di new economy
generalizzata o di alienazione
biotecnologica, viste in una loro collocazione critica,
non possono non essere ricondotte alle concezioni di fondo della Società dello
spettacolo, unitamente alle analisi di R. Vaneigem e soci.
La Società
dello spettacolo
corrisponde, pertanto, a una fase storica di ristrutturazione del
capitale - nella seconda metà del '900 - che consolida
talune strategie
di dominio nell'ambito produttivo e dà origine a nuove
direttrici di
consumo relative al passaggio all'avere
e al baudrillardiano simulare.
La Società
dello spettacolo riflette tutto ciò
con una consapevolezza critica innegabile.
La lettura che è possibile proporre oggi della Società dello
spettacolo non può non avvalersi della tecnica
del détournement
ovvero:
- partire dalle analisi critiche legate al dibattito teorico
proprio del movimento operaio alla fine degli anni '60;
- prendere atto di un processo critico che abbraccia temi
quali il tempo, il
territorio e la cultura;
- approdare quindi all'ambito profetico della fenomenologia della
società dello spettacolo,
aspetto fondamentale e costitutivo della critica del
capitalismo colto nel suo sviluppo storico.
Avendo
premesso che il lavoro di Debord va inserito in un contesto di
elaborazione teorica proprio dell'ambito situazionistico, ci si
potrà
accingere alla sua lettura, percorrendone la sua caratteristica
articolata in 221 tesi, a loro volta raccolte in nove capitoli.
La
definizione di una base storico-filosofica da cui partire è
fornita
certamente dal lungo capitolo 4. Esso inizia individuando l'orizzonte
storico come spazio proprio per la costruzione di una prospettiva di
analisi e di azione politica, e termina affermando la consapevolezza
che ogni teoria
rivoluzionaria è nemica di ogni ideologia rivoluzionaria.
Muovendo da Hegel e Marx, Debord mostra le carenze proprie dei
socialismi e dell'anarchismo. Egli fornisce una critica del
burocratismo staliniano, ma anche delle illusioni neoleniniste del
Trotsky ispiratore della Quarta internazionale [Tesi 113], affermando
invece la validità dei Consigli operai come la
realtà
più alta del movimento operaio [Tesi 118]. Il percorso
debordiano risente delle analisi del primo Lukàcs, di Korsch
e
di Gramsci, ma anche di una certa tradizione francese rappresentata dai
gruppi e correnti che facevano capo a Socialisme ou Barbarie
e Arguments.
Nei capitoli 5 e 6 il rapporto fra tempo e storia viene da Debord
esaminato nel suo sviluppo, procedente da un tempo ciclico senza
conflitti a un tempo
irreversibile proprio del medioevo. Con l'ascesa della
borghesia si afferma il tempo
storico, anch'esso irreversibile, ma il cui uso è
vietato alla società dalla borghesia padrona stessa [Tesi
144]. A tale tempo irreversibile corrisponde il tempo-merce della
produzione corrispondente, a sua volta, al tempo pseudociclico
del consumo. Si tratta del tempo spettacolare proprio di un'epoca senza festa [Tesi
154], una dimensione in cui lo spettacolo viene a porsi come falsa coscienza del tempo
[Tesi 158].
Nel capitolo 7 Debord mostra come lo spazio divenga lo scenario
del capitalismo e come la strutturazione del territorio, alterando in
modo strumentale il rapporto tra città e campagna, miri a
realizzare un maggior controllo delle persone e quindi il loro
isolamento. Una rivoluzione che tenderebbe ad affermarsi nell'ambito
dell'urbanismo viene individuata da Debord in un ritorno ai bisogni e alle condizioni dei
lavoratori fatte proprie dai Consigli.
Nel capitolo 8 il consumo
spettacolare
viene da Debord denunciato come consumo della cultura-merce anche nei
suoi correlati sociologici di comodo. La cultura che viene ad
affermarsi va negata unitamente al linguaggio che la veicola, mentre il
plagio necessario
e il détournement
(rovesciamento e riappropriazione) vengono a costituire prospettive di
recupero creativo del senso.
L'ultimo breve capitolo tratta in nove tesi del trionfo dell'ideologia
(qui, come in tutta la Società
dello spettacolo,
il termine "ideologia" va inteso in senso strettamente marxiano) nella
sua materializzazione che è lo spettacolo. La falsa
coscienza,
in tal modo, celebra il proprio trionfo che è il trionfo di
una base materiale
relativa ad una verità capovolta. La lotta è
dunque per
un'effettiva verità e per l'emancipazione da questa base
materiale.
Il tragitto del détorunement si conclude aprendosi ai primi
tre
capitoli che disegnano tesi il cui valore è continuamente
avvalorato dal riscontro periodico con la realtà del
capitalismo
contemporaneo.
Le 72 tesi dei tre capitoli tracciano un percorso organico, partendo
dal concetto di separazione
- che riprende in una prospettiva innovativa sia il concetto di alienazione (sulla
linea Hegel, Feuerbach, Marx) che il concetto di scissione (del
Lukàcs della Teoria
del romanzo, 1920) - per giungere al concetto di falsa unità
che informa di sé tutta la realtà spettacolare.
La separazione
che si compie per Debord (con riferimento anche all'eccesso di metafisica
lukacsiano) sembra portare a compimento quel processo di scissione tra
il soggetto e se stesso originato dalla rottura dell'unità
presente nel mondo greco e ormai in via di compimento nel capitalismo.
La separazione è dunque tra il vissuto e la sua rappresentazione,
ovvero la rappresentazione tende ad accumularsi e a predominare sul
vissuto che nella società capitalistica viene sempre di
più a marginalizzarsi e a diventare, nella sua
verità,
solo il momento di una rappresentazione totalizzante che sappiamo falsa.
Si tratta del dominio proprio di una società che è dello
spettacolo, in cui più tende ad affermarsi l'apparire,
più l'uomo è separato dalla vita. Lo spettacolo
quindi si
fa rapporto sociale e visualizza in modo totalizzante e pervasivo il
suo essere capitale.
Sono presenti in questi assunti del primo capitolo rielaborazioni
tratte dal giovane Marx, quando scrive dell'alienazione nella
società borghese, mentre il secondo capitolo riprende il
concetto di feticismo
della merce sulla linea Marx-Lukàcs. Debord
afferma che il predominio dello spettacolo si attua attraverso l'occupazione
della vita sociale da parte della merce. A ciò corrisponde
la
vittoria del valore di scambio sul valore d'uso in una
società
che sancisce la vittoria dell'economia autonoma.
Ma è nel rapporto tra economia e società che
Debord
individua una possibile forma di riscatto là dove, infine,
l'economia finisce con dipendere pur sempre dalla società e
dalla lotta di classe. Parafrasando Freud, Debord scrive che là dove c'era
l'es economico deve venire l'io e afferma che il desiderio della coscienza e
la coscienza del desiderio costituiscono un unico progetto
mirante all'abolizione delle classi.
Questo passaggio, in genere abbastanza ignorato, rappresenta invece un
punto importante dato che, malgrado l'avversione di Debord per le
scienze umane in generale, esso rispecchia un nucleo importante della
psicoanalisi di J. Lacan. Questi, mostrando come in effetti la spaltung,
la scissione, sia costitutiva dell'essere umano e rappresenti il prezzo
che questi deve pagare per accedere - ed essere riconosciuto -
all/dall'ordine simbolico (Stadio dello specchio), indica come la colonizzazione del desiderio
rappresenti la strategia principale del capitalismo nel suo stadio
attuale.
Il terzo capitolo probabilmente è il più
"francofortese".
Nella sua unità fittizia, lo spettacolo maschera le
contraddizione e le lacerazioni della società e dei poteri
che
la dominano. La banalizzazione,
la vedette
specializzata nel vissuto apparente, le finte lotte spettacolari:
tutto ciò rappresenta un "artificiale" che traduce nello
spettacolare la falsificazione della vita sociale. Uno spettacolare che
si presenta sullo scenario globale come concentrato o diffuso a seconda della miseria che smentisce o
mantiene.
Note:
1. G. Debord, In girum imus nocte et
consumimur igni, A. Mondadori, Milano 1998, p. 50
2. M. Löwy, La stella del mattino,
Massari Editore, Bolsena 2000, p. 82
3. P. Stanziale, "Introduzione" a
Guy Debord, Raoul Vaneigem e altri, Situazionismo, Materiali per
un'economia politica dell'immaginario, Massari Editore,
Bolsena 1998, p. 15
4. R. Silvestri, "Geronimo
ciberpunk", in il
Manifesto/Alias, 25 agosto 2001. Ma anche Black Book. Cosa pensano le tute
nere, Stampa Alternativa, Viterbo 2001.
5. G. Debord, In girum..., cit.
p. 57
6. Ibid, p. 60
7. G. Agamben: "Il fatto
più importante dei libri di Debord è la
puntualità con cui la storia sembra essersi impegnata a
verificare le analisi...". "Glosse in margine" ai Commentari alla
Società dello spettacolo, Sugarco, Milano 1988
8. P. Stanziale, "Introduzione" a Situazionismo,
cit., ma anche F. D'Agostini, "Situazionismo, l'eroismo difettoso
dell'ultima parola", in La
Stampa del 29 aprile 1999, e Id., Breve storia della filosofia del
'900, Einaudi, Torino 1999, p. 234
9. Ne parla R. Massari, con
esplicito riferimento a Debord, nella nuova edizione de Il terrorismo. Storia, concetti,
metodi, Bolsena 2002, pp. 425 e 437-8.
10. S. Amin, Il capitalismo del nuovo
millennio, Ed. Punto rosso, Roma 2001 e N. Hertz,
La conquista silenziosa,
Carocci, Torino 2001
11. N. Klein, No Logo, Baldini
& Castoldi, Milano 2001, pp. 171 sgg.
12. P. Stanziale, Introduzione a Situazionismo, cit.
pp. 45-6
13. M. Hardt - A. Negri, Impero, Rizzoli,
Milano 2002, p. 179
14. F. Jameson, Il postmoderno o la logica
culturale del tardo capitalismo, Garzanti, Milano 1989,
pp. 7 sgg.
15. M. Hardt - A. Negri, op. cit., p. 180
16. P. Stanziale, Mappe dell'alienazione,
Erre emme, Roma 1995, p. 166 e Introduzione cit., p.47
17. M. Hardt - A. Negri, op. cit., p. 179
18. Ibid., p. 302
19. M. Horkheimer - T. W. Adorno, Dialettica dell'Illuminismo,
Einaudi, Torino 1966, p. 127
20. H. Marcuse, L'uomo a una dimensione,
Einaudi, Torino 1967, pp. 257 sgg.
21. J. Lacan, Radiofonia, Televisione,
Einaudi, Torino 1982, p.53
22. L. Savelli, Globalizzazione e crisi della
modernità, Massari Editore, Bolsena 2001, p. 144
23. G. Debord, "Commentari sulla
società dello spettacolo", in appendice a La società dello
spettacolo, Baldini & Castoldi, Milano 1997, p. 197
24. L. Savelli, op. cit.
25. M. Foucault, La volontà di sapere,
Feltrinelli, Milano 1978, pp. 119 sgg.
26. M. Hardt - A. Negri, op. cit., p. 39
27. M. Foucault, "La nascita della
medicina sociale", in Archivio
Foucault 2, Feltrinelli, Milano 1997, pp. 221 sgg.
28. A. Burgio, "Il signore, il
servo e la plebe", in Aa. Vv., Nuove
servitù, Manifestolibri, Roma 1994, p. 17
29. P. Stanziale, Introduzione a Situazionismo,
cit., p. 47