4. IL PROLETARIATO COME SOGGETTO E COME RAPPRESENTAZIONE
L'uguale diritto di tutti ai beni e
alle gioie di questo mondo, la distruzione di ogni autorità, la
negazione di ogni freno morale, ecco, se si scende alla radice delle
cose, la ragione d'essere dell'insurrezione del 18 marzo e il proclama
della temibile associazione che le ha fornito un esercito.
(Inchiesta parlamentare sull'insurrezione del 18 marzo)
73. Il movimento reale che sopprime le condizioni
esistenti governa la società a partire dalla vittoria della
borghesia nell'economia, e visibilmente dopo la traduzione politica di
questa vittoria. Lo sviluppo delle forze produttive ha fatto saltare i
vecchi rapporti di produzione, e ogni ordine statico si riduce in
polvere. Tutto ciò che era assoluto diviene storico.
74. Gettati nella storia, dovendo partecipare al
lavoro e alle lotte che la costituiscono, gli uomini si vedono
costretti a riflettere sui loro reciproci rapporti in modo
disingannato. Questa storia non ha oggetto distinto da ciò che
realizza su se stessa, sebbene l'ultima visione metafisica inconscia
dell'epoca storica possa considerare la progressione produttiva,
attraverso la quale la storia si è sviluppata, come l'oggetto
stesso della storia. Il soggetto
della storia non può essere che il vivente producente se stesso,
che si fa signore e padrone del suo mondo che è la storia, e che
esiste come coscienza del suo gioco.
75. Come un'unica corrente si sviluppano le lotte di classe della lunga epoca rivoluzionaria inaugurata dall'ascesa della borghesia, e il pensiero della storia,
la dialettica, il pensiero che non si arresta più alla ricerca
del senso dell'essere, ma si eleva alla conoscenza della dissoluzione
di tutto ciò che è, e nel movimento dissolve ogni
divisione.
76. Hegel non aveva più da interpretare il mondo, ma la sua trasformazione. Interpretandone soltanto la trasformazione, Hegel non rappresenta altro che il compimento filosofico della filosofia. Egli vuole comprendere un mondo che si fa da sé. Questo pensiero storico non è altro che la coscienza, che arriva sempre troppo tardi e che enuncia la giustificazione post festum. Così, essa non ha superato la divisione che nel pensiero.
Il paradosso che consiste nel sospendere il senso di ogni realtà
al suo compimento storico, e nel rivelare nello stesso tempo questo
senso come costituentesi in se stesso come compimento della storia,
deriva dal semplice fatto che il pensatore delle rivoluzioni borghesi
del XVII e XVIII secolo non ha cercato nella sua filosofia che la riconciliazione
con i loro risultati. «Anche come filosofia della rivoluzione
borghese, essa non esprime tutto il processo di questa rivoluzione, ma
soltanto la sua conclusione ultima. In questo senso, essa è una
filosofia non della rivoluzione ma della restaurazione» (Karl
Korsch, Tesi su Hegel e la rivoluzione).
Hegel per l'ultima volta ha fatto il lavoro del filosofo, «la
glorificazione di ciò che esiste»; ma già
ciò che esisteva per lui non poteva essere ormai che la
totalità del movimento storico. Essendo di fatto mantenuta la
posizione esterna del
pensiero, questa non poteva essere mascherata che con la sua
identificazione a un progetto preliminare dello Spirito, eroe assoluto
che ha fatto ciò che ha voluto e ha voluto ciò che ha
fatto, e il cui adempimento coincide con il presente. Così, la
filosofia che muore nel pensiero della storia non può
glorificare il proprio mondo che rinnegandolo, perché per
prendere la parola ha essa ha bisogno di supporre già finita
questa storia totale cui ricondotto ogni cosa e chiusa la sessione
dell'unico tribunale cui possa essere emessa la sentenza della
verità.
77. Quando il proletariato dimostra con la propria
esistenza in atto che questo pensiero della storia non si è
dimenticato, la smentita della conclusione è anche la conferma del metodo.
78. Il pensiero della storia non può essere
salvato che divenendo pensiero pratico; e la prassi del proletariato
come classe rivoluzionaria non può essere meno della coscienza
storica operante sulla totalità del mondo. Tutte le correnti
teoriche del movimento operaio rivoluzionario sono uscite da uno scontro critico con il pensiero hegeliano, in Marx come in Stirner e in Bakunin.
79. Il carattere inseparabile della teoria di Marx e
del metodo hegeliano è a sua volta inseparabile dal carattere
rivoluzionario di questa teoria, cioè dalla sua verità.
E' in ciò che questa relazione fondamentale è stata
generalmente ignorata o mal compresa, o ancora denunciata come il punto
debole di ciò diveniva fallacemente una dottrina marxista. Bernstein, in Socialismo teorico e socialdemocrazia pratica, rivela perfettamente questo legame del metodo dialettico e della presa di partito
storica, quando deplora le previsioni poco scientifiche del Manifesto
del 1847 sull'imminenza della rivoluzione proletaria in Germania:
«Questa autosuggestione storica, talmente erronea che il primo
venuto dei visionari politici non avrebbe quasi trovato di meglio,
sarebbe incomprensibile in un Marx, che a quell'epoca aveva già
seriamente studiato l'economia, se non si dovesse vedere in essa il
prodotto di un residuo della dialettica antitetica hegeliana, di cui
Marx, non più di Engels, non è mai riuscito completamente
a disfarsi. In quei tempi di effervescenza generale, ciò gli
è stato tanto più fatale».
80. Il rovesciamento
che Marx opera con un «salvataggio per trasferimento» del
pensiero delle rivoluzioni borghesi non consiste nel rimpiazzare
volgarmente, con lo sviluppo materialistico delle forze produttive, il
percorso dello Spirito hegeliano che va incontro a se stesso nel tempo,
con la sua oggettivazione identica alla sua alienazione e le sue ferite
storiche che non lasciano cicatrici. La storia divenuta reale non ha
più fine. Marx ha distrutto la posizione separata di Hegel di fronte a ciò che avviene e la contemplazione
di un superiore agente esterno, qualunque esso sia. La teoria non ha
altro da sapere che ciò che fa. Al contrario, è la
contemplazione del movimento dell'economia, nel pensiero dominante
della società attuale, l'eredità non rovesciata della parte non-dialettica
nel tentativo hegeliano di un sistema circolare; E un consenso che ha
perduto la dimensione del concetto e che non ha più bisogno di
un hegelismo per giustificarsi, perché il movimento che si
tratta di lodare non è più che un settore senza pensiero
del mondo, il cui sviluppo meccanico domina effettivamente il tutto. Il
progetto di Marx è quello di una storia cosciente, li
quantitativo, che sopraggiunge nello sviluppo cieco delle forze
produttive semplicemente economiche deve trasformarsi in appropriazione
storica qualitativa. La critica dell'economia politica è il primo atto di questa fine della preistoria:
«Di tutti gli strumenti della produzione, il più grande
potere produttivo è la classe rivoluzionaria stessa».
81. Ciò che lega strettamente la teoria di
Marx al pensiero scientifico, è la comprensione razionale delle
forze che operano realmente nella società. Ma si tratta
fondamentalmente di un al di là del pensiero scientifico, dove questo viene conservato in quanto superato; si tratta di una comprensione della lotta e non della legge. «Noi non conosciamo che una scienza sola: la scienza della storia», si dice ne L'ideologia tedesca.
82. L'epoca borghese, che vuole fondare
scientificamente la storia, trascura il fatto che questa scienza
disponibile avrebbe dovuto piuttosto essere essa stessa fondata
storicamente con l'economia. Inversamente, la storia dipende
radicalmente da questa conoscenza solo in quanto questa stessa storia
resta storia economica.
Quanto la parte della storia nell'economia stessa - il processo globale
che modifica i propri dati scientifici di base - abbia potuto essere
trascurata dal punto di vista dell'osservazione scientifica, è
d'altra parte ben dimostrato dalla vanità dei calcoli socialisti
che credevano di aver stabilito l'esatta periodicità delle
crisi; e da quando l'intervento costante dello Stato è riuscito
a compensare l'effetto delle tendenze verso la crisi, lo stesso tipo di
ragionamento vede in questo equilibrio un'armonia economica definitiva.
Se il progetto del superamento dell'economia, il progetto della presa
di possesso della storia, deve conoscere - e riportare a sé - la
scienza della società, non può essere esso stesso scientifico.
In quest'ultimo movimento che crede di dominare la storia presente
attraverso una conoscenza scientifica, il punto di vista rivoluzionario
è rimasto borghese.
83. Le correnti utopistiche del socialismo,
benché fondate esse stesse storicamente sulla critica
dell'organizzazione sociale esistente, possono essere giustamente
qualificate come utopistiche nella misura in cui rifiutano la storia -
vale a dire la lotta reale in corso, come anche il movimento del tempo
al di là della perfezione immutabile della loro immagine di una
società felice - ma non perché rifiutino la scienza. I
pensatori utopisti sono al contrario completamente dominati dal
pensiero scientifico, quale si era imposto nei secoli precedenti. Essi
cercano il perfetto compimento di questo sistema razionale generale:
non si considerano affatto dei profeti disarmati, perché credono
al potere sociale della dimostrazione scientifica e anche, nel caso del
sansimonismo, alla presa del potere da parte della scienza. In che
modo, dice Sombart, «si vorrebbe conquistare con le lotte
ciò che deve essere provato?».
Tuttavia la concezione scientifica degli utopisti non si estende fino
alla conoscenza del fatto che alcuni gruppi sociali hanno degli
interessi in una data situazione, delle forze per conservarla e anche
delle forme di falsa coscienza corrispondenti a tali posizioni. Essa
dunque resta molto al di qua della realtà storica dello sviluppo
della scienza stessa, che in gran parte si è trovata orientata
dalla domanda sociale derivata da tali fattori, la quale seleziona non
solo ciò che può essere ammesso, ma anche ciò che
può essere ricercato. I socialisti utopisti, rimasti prigionieri
della forma espositiva della verità scientifica, concepiscono
questa verità secondo la sua pura immagine astratta, come
l'aveva vista imporsi uno stadio molto anteriore della società.
Come rilevava Sorel, è sul modello dell'astronomia che gli
utopisti pensano di scoprire e di dimostrare le leggi della
società. L'armonia da loro pensata, ostile alla storia, deriva
dal tentativo di applicare alla società la scienza meno
dipendente dalla storia. Essa tenta di farsi riconoscere con la stessa
innocenza sperimentale del newtonismo e il destino felice costantemente
postulato «gioca nella loro scienza sociale un ruolo analogo a
quello che si rifà dell'inerzia nella meccanica razionale»
(Materiali per una teoria del proletariato).
84. L'aspetto deterministico-scientifico del
pensiero di Marx costituì la breccia attraverso la quale
penetrò il processo di ideologizzazione,
quando egli era vivo, e ancor di più nell'eredità teorica
lasciata al movimento operaio. L'avvento del soggetto della storia
è ancora una volta rinviato a più tardi ed è la
scienza storica per eccellenza, l'economia, che tende, sempre
più ampiamente, a garantire la necessità della propria
negazione futura. Ma così viene esclusa dal campo della visione
teorica la pratica rivoluzionaria che è la sola verità di
questa negazione. Così è importante studiare
pazientemente lo sviluppo economico e ammettere ancora, con
tranquillità hegeliana, il dolore, ciò che nel suo
risultato resta un «cimitero di buone intenzioni». Ora si
scopre che, secondo la scienza delle rivoluzioni, la coscienza arriva sempre troppo presto
e dovrà essere insegnata. «La storia ci ha dato torto, a
noi e a tutti quelli che pensavano come noi. Essa ha mostrato
chiaramente che lo stato di sviluppo economico sul continente era
allora ben lontano dall'essere maturo...», dirà Engels nel
1895. Per tutta la vita, Marx ha conservato il punto di vista unitario
della propria teoria, ma l'esposizione di tale teoria si è
spostata sul terreno del pensiero dominante, precisandosi sotto forma
di critica di discipline particolari, specialmente di critica della
scienza fondamentale della società borghese, l'economia
politica. E questa mutilazione, ulteriormente accettata come
definitiva, che ha costituito il «marxismo».
85. I limiti della teoria di Marx sono naturalmente
i limiti della lotta rivoluzionaria del proletariato della sua epoca.
La classe operaia non ha decretato la rivoluzione permanente nella
Germania del 1848; la Comune è stata vinta nell'isolamento. La
teoria rivoluzionaria non può dunque ancora pervenire alla
propria esistenza totale. Essere ridotti a difenderla e a precisarla
nella divisione erudita del lavoro, al British Museum,
implicava una perdita nella teoria stessa. E sono proprio le
giustificazioni scientifiche tratte sull'avvenire dello sviluppo della
classe operaia, e la pratica organizzativa combinata con queste
giustificazioni, che si sarebbero trasformate in ostacoli per la
coscienza proletaria in uno stadio più avanzato.
86. Tutta l'insufficienza teorica nella difesa scientifica
della rivoluzione proletaria può essere ricondotta, per il
contenuto come per la forma dell'esposizione, a un'identificazione del
proletariato con la borghesia dal punto di vista della conquista rivoluzionaria del potere.
87. La tendenza a fondare una dimostrazione della
legittimità scientifica del potere proletario sulla
testimonianza di esperimenti ripetuti nel passato ha oscurato, dai tempi del Manifesto, il pensiero storico di Marx, facendogli sostenere un'immagine lineare
dello sviluppo dei modi di produzione, originato da lotte di classi che
finirebbero ogni volta «o per una trasformazione
rivoluzionaria della società intera o con la distruzione
comune delle classi in lotta». Ma nella realtà
osservabile della storia, come «il modo di produzione
asiatico» - constatava Marx altrove - ha conservato la sua
immobilità a dispetto di tutti gli scontri di classe,
così le jacqueries dei
servi non hanno mai sconfitto i baroni, né le rivolte degli
schiavi dell'antichità gli uomini liberi. Lo schema lineare
perde di vista anzitutto il fatto che la borghesia è la sola classe rivoluzionaria che sia mai stata vincitrice;
e nel contempo che essa è la sola classe per la quale lo
sviluppo dell'economia sia stato causa e conseguenza del dominio da
essa conquistato sulla società. La stessa semplificazione ha
condotto Marx a sottovalutare il ruolo economico dello Stato nella
gestione di una società di classe. Se l'ascesa della borghesia
si è mostrata come un affrancamento dell'economia dallo Stato,
è solo nella misura in cui lo Stato antico si confondeva con lo
strumento di un'oppressione di classe in un'economia statica. La
borghesia ha sviluppato la propria potenza economica autonoma nel
periodo medievale di indebolimento dello Stato, nel momento della
frammentazione feudale dell'equilibrio dei poteri. Ma lo Stato moderno
che, con il mercantilismo, ha cominciato ad appoggiare lo sviluppo
della borghesia, e che è infine diventato il suo Stato
ali'insegna del «laisser faire, laisser passer» si rivela
ulteriormente dotato di una potenza centrale nella gestione calcolata
del processo economico. D'altra parte Marx aveva potuto descrivere, nel
bonapartismo, l'abbozzo della burocrazia statale moderna, fusione di
Stato e di capitale, costituzione di un «potere nazionale del
capitale sul lavoro, d'una forza pubblica organizzata per
l'asservimento sociale» in cui la borghesia rinuncia ad ogni vita
storica, che non sia la sua riduzione alla storia economica delle cose,
e accetta di «essere condannata allo stesso nulla politico delle
altre classi». Qui sono già poste le basi socio-politiche
dello spettacolo moderno, che in negativo definisce il proletariato
come solo pretendente alla vita storica.
88. Le due sole classi, che corrispondono
effettivamente alla teoria di Marx, le due classi pure verso le quali
conduce ogni analisi nel Capitale,
la borghesia e il proletariato, sono anche le due sole classi
rivoluzionarie della storia, ma a condizioni differenti: la rivoluzione
borghese è compiuta; la rivoluzione proletaria è un
progetto, nato sulla base della precedente rivoluzione, ma ne
differisce qualitativamente. Col trascurare l'originalità
del ruolo storico della borghesia, si maschera l'originalità
concreta di questo progetto proletario che non può arrivare a
nulla se non apportando i propri colori e riconoscendo
«l'immensità dei propri compiti». La borghesia
è giunta al potere perché è la classe
dell'economia in sviluppo. Il proletariato non può essere esso
stesso il potere se non diventando la classe della coscienza.
Il maturare delle forze produttive non può garantire un tale
potere, neanche attraverso l'alternativa dell'aumento di espropriazione
che esso comporta. La conquista giacobina dello Stato non può
essere il suo strumento. Nessuna ideologia
può servirgli a trasformare dei fini parziali in fini generali,
perché non può conservare nessuna realtà parziale
che gli sia effettivamente propria.
89. Se Marx, in un periodo determinato della sua
partecipazione alla lotta del proletariato, si era aspettato troppo
dalla previsione scientifica, al punto di creare la base intellettuale
delle illusioni dell'economicismo, si sa anche che non vi soccombette
personalmente. In una nota lettera del 7 dicembre 1867, accompagnando
un articolo in cui egli stesso criticava Il Capitale,
articolo che Engels dovette far passare alla stampa come se fosse stato
scritto da un avversario, Marx ha esposto chiaramente i limiti della
propria scienza: «...la tendenza soggettiva
dell'autore - egli era legato e obbligato a essa forse dalla sua
posizione di partito e dal suo passato - vale a dire la maniera in cui
presenta a sé o agli altri il risultato finale dell'odierno
movimento, dell'odierno processo sociale, non ha nulla affatto a che
vedere col suo sviluppo effettivo» [1]. Così Marx,
denunciando egli stesso le «conclusioni tendenziose» della
sua analisi obiettiva, e con l'ironia del «forse» relativa
alle scelte extrascientifiche che gli sarebbero state imposte, mostra
nel contempo la chiave metodologica della fusione dei due aspetti.
90. E' nella stessa lotta storica che bisogna
realizzare la fusione della conoscenza e dell'azione, in modo tale che
ognuno di questi termini riponga nell'altro la garanzia della propria
verità. La costituzione della classe proletaria in soggetto
rappresenta l'organizzazione delle lotte rivoluzionarie e
l'organizzazione della società nel momento rivoluzionario: è qui che devono esistere le condizioni pratiche della coscienza,
nelle quali si conferma la teoria della prassi divenendo teoria
pratica. Tuttavia, tale questione centrale dell'organizzazione è
stata la meno considerata dalla teoria rivoluzionaria all'epoca in cui
si fondava il movimento operaio, cioè quando questa teoria
ancora possedeva il carattere unitario derivante dal pensiero della storia (e che essa si era appunto assegnata il compito di sviluppare fino ad una unitaria pratica storica). E' al contrario il luogo dell'inconseguenzadi
questa teoria, che ammette la ripresa di metodi di applicazione
statali e gerarchici derivati dalla rivoluzione borghese. Le forme di
organizzazione del movimento operaio, sviluppate sulla base di questa
rinuncia della teoria, hanno di ritorno teso ad impedire la
conservazione di una teoria unitaria, dissolvendola in diverse
conoscenze specializzate e parcellari. Questa alienazione ideologica
della teoria non può più quindi riconoscere la verifica
pratica del pensiero storico che essa ha tradito, quando questa
verifica sorge dalla lotta spontanea degli operai: essa può solo
concorrere a reprimere la manifestazione e la memoria. Al contrario,
queste forme storiche apparse nella lotta costituiscono il milieu
pratico che mancava alla teoria per essere vera. Esse sono un'esigenza
della teoria, ma che non era stata formulata teoricamente. Il soviet
non era una scoperta della teoria. E già prima, la più
alta verità teorica dell'Associazione internazionale dei
lavoratori era la sua stessa esistenza messa in pratica.
91. I primi successi della lotta portarono
l'Internazionale ad affrancarsi dalle influenze confuse dell'ideologia
dominante che sussistevano in essa. Ma la disfatta e la repressione che
incontrò subito, fecero passare in primo piano il conflitto tra
due concezioni della rivoluzione proletaria, che contengono entrambe
una dimensione autoritaria, nella quale l'autoemancipazione cosciente
della classe viene abbandonata. In effetti, la querelle divenuta
irriconciliabile fra marxisti e bakunisti era duplice, riguardando
contemporaneamente il potere nella società rivoluzionaria e
l'organizzazione presente del movimento, e passando dall'uno all'altro
di questi aspetti, le posizioni degli avversari si ribaltavano. Bakunin
combatteva l'illusione di un'abolizione delle classi attraverso l'uso
autoritario del potere statale, prevedendo il ricostituirsi di una
classe dominante burocratica e la dittatura dei più saggi, o di
quelli che sarebbero stati ritenuti tali. Marx, convinto che il
maturarsi inseparabile delle contraddizioni economiche e
dell'educazione democratica degli operai avrebbe ridotto il ruolo di
uno Stato proletario a una semplice fase di legalizzazione dei nuovi
rapporti sociali che si sarebbero imposti oggettivamente, denunciava in
Bakunin e nei suoi partigiani l'autoritarismo di un'élite
cospirativa che si era deliberatamente posta al di sopra
dell'Internazionale e concepiva lo stravagante disegno di imporre alla
società la dittatura irresponsabile dei più
rivoluzionari, o di coloro che da se stessi si sarebbero designati come
tali. Bakunin in effetti reclutava i suoi partigiani nel quadro di una
tale prospettiva: «Piloti invisibili nel cuore della tempesta
popolare, noi dobbiamo dirigere, non con un potere visibile, ma
attraverso la dittatura collettiva di tutti gli alleati. Dittatura
senza fascia, senza titolo, senza diritto ufficiale, e tanto più
potente in quanto non avrà alcuna delle apparenze del
potere». Così si sono opposte due ideologie della
rivoluzione operaia, contenenti ognuna una critica parzialmente vera,
ma perdendo l'unità del pensiero della storia e istituendosi
esse quali autorità ideologiche. Organizzazioni potenti, come la
socialdemocrazia tedesca e la Federazione anarchica iberica, hanno
fedelmente servito o l'una o l'altra di queste ideologie, e dappertutto
il risultato è stato assai diverso da quello che si era voluto.
92. Il fatto di considerare il fine della
rivoluzione proletaria come immediatamente presente, costituisce
contemporaneamente la grandezza e la debolezza della lotta anarchica
reale (perché nelle sue varianti individualistiche, le pretese
dell'anarchismo restano derisorie). Del pensiero storico delle moderne
lotte di classe, l'anarchia collettivistica mantiene esclusivamente la
conclusione, e la sua esigenza assoluta di tale conclusione si traduce
ugualmente nel disprezzo deliberato del metodo. Così la sua
critica della lotta politica è rimasta astratta, mentre la
scelta stessa della lotta economica non viene affermata che in funzione
dell'illusione di una soluzione definitiva, strappata con un sol colpo
su questo terreno, nel giorno dello sciopero generale o
dell'insurrezione. Gli anarchici hanno un ideale da realizzare.
L'anarchia è la negazione ancora ideologica dello Stato e delle
classi, cioè delle condizioni sociali stesse dell'ideologia separata. E' l'ideologia della pura libertà
che tutto uguaglia e che rifiuta ogni idea di male storico. Questo
punto di vista della fusione di tutte le esigenze parziali ha dato
all'anarchia il merito di rappresentare il rifiuto di tutte le
condizioni esistenti per la totalità della vita, e non nell'
ambito di una specializzazione critica privilegiata: ma il fatto di
considerare questa fusione in assoluto, secondo il capriccio
individuale, prima della sua realizzazione effettiva, ha d'altra parte
condannato l'anarchismo a un'incoerenza troppo facilmente
contestabile. L'anarchismo non ha che da ripetere, e rimettere in gioco
in ogni lotta, la sua stessa semplice conclusione totale, perché
questa prima conclusione era fin dall'origine identificata con il
risultato integrale del movimento. Bakunin poteva dunque scrivere nel
1873, abbandonando la Federazione del Giura: «Negli ultimi nove
anni si sono sviluppate in seno all'Internazionale molte più
idee di quante ne servirebbero per salvare il mondo, se le sole idee
potessero salvarlo, e sfido chiunque a inventarne una nuova. Non
è più tempo per le idee, ma per i fatti e le
azioni». Senza dubbio questa concezione conserva del pensiero
storico del proletariato la certezza che le idee devono divenire
pratica, ma essa abbandona il terreno storico supponendo che le forme
adeguate di questo passaggio alla pratica siano già state
trovate e non cambieranno più.
93. Gli anarchici, che si distinguono esplicitamente
dall'insieme del movimento operaio per la loro convinzione ideologica,
riproducono al proprio interno questa separazione delle competenze,
fornendo un terreno favorevole al dominio informale, su ogni
organizzazione anarchica, dei propagandisti e difensori della propria
ideologia, specialisti in genere tanto più mediocri, in quanto
la loro attività intellettuale si propone principalmente la
ripetizione di alcune verità definitive. Il rispetto ideologico
dell'unanimità della decisione ha favorito piuttosto
l'attività incontrollata, nella stessa organizzazione, degli specialisti della libertà;
e l'anarchismo rivoluzionario si aspetta dal popolo liberato lo stesso
genere di unanimità, ottenuto con gli stessi mezzi. E d'altra
parte, il rifiuto di considerare l'opposizione di condizioni tra una
minoranza, riunita nella lotta attuale, e la società degli
individui liberi, ha nutrito una divisione permanente degli anarchici
nel momento della decisione comune, come dimostra l'esempio di un gran
numero di insurrezioni anarchiche in Spagna, circoscritte e soffocate
sul piano locale.
94. L'illusione mantenuta più o meno
esplicitamente nell'anarchismo autentico è quella dell'imminenza
permanente di una rivoluzione che dovrà dare ragione
all'ideologia, e al modo d'organizzazione pratico derivato
dall'ideologia, compiendosi istantaneamente. Nel 1936 l'anarchismo ha
realmente condotto una rivoluzione sociale e l'abbozzo, il più
avanzato che mai si sia visto, di un potere proletario. In questa
circostanza bisogna ancora notare, da una parte, che il segnale di
un'insurrezione generale era stato imposto dal pronunciamento
dell'esercito. E d'altra parte, nella misura in cui questa rivoluzione
non era stata completata nei primi giorni, dato che esisteva un potere
franchista nella metà del paese, appoggiato fortemente
dall'estero allorché il resto del movimento proletario
internazionale era già vinto, e dato che sopravvivevano nel
campo della Repubblica delle forze borghesi o altri partiti operai
statalisti, il movimento anarchico organizzato si è dimostrato
incapace di estendere le mezze-vittorie della rivoluzione e anche solo
di difenderle. I suoi capi riconosciuti sono divenuti ministri, e
ostaggi dello Stato borghese che distruggeva la rivoluzione per perdere
la guerra civile.
95. Il «marxismo ortodosso» della
Seconda internazionale è l'ideologia scientifica della
rivoluzione socialista, che identifica ogni sua verità con il
processo obiettivo nell'economia, e con il progressivo riconoscimento
di questa necessità nella classe operaia educata
dall'organizzazione. Questa ideologia ritrova la fiducia nella
dimostrazione pedagogica, che aveva caratterizzato il socialismo
utopistico, ma integrata da un riferimento contemplativo
nel corso della storia: tuttavia, un simile atteggiamento ha perduto
sia la dimensione hegeliana di una storia totale sia l'immagine
immobile della totalità presente nella critica utopistica (in
Fourier al massimo grado). E' da un simile atteggiamento scientifico,
che non poteva fare a meno di rilanciare simmetricamente delle scelte
etiche, che derivano le vacuità di Hilferding, quando questi
precisa che riconoscere la necessità del socialismo non offre
«alcuna indicazione sull'atteggiamento pratico da adottare.
Perché una cosa è riconoscere la necessità, e
un'altra il mettersi al servizio di questa necessità» (Il Capitale finanziario).
Coloro che hanno misconosciuto il fatto che il pensiero unitario della
storia, per Marx e per il proletariato rivoluzionario, non fose affatto
distinto da una posizione pratica da adottare, dovevano essere
normalmente vittime della pratica che contemporaneamente avevano
adottato.
96. L'ideologia dell'organizzazione socialdemocratica la poneva al servizio dei professori
che educavano la classe operaia; e la forma di organizzazione adottata
era la forma adeguata a questo apprendistato passivo. La partecipazione
dei socialisti della Seconda internazionale alle lotte politiche ed
economiche era certo concreta, ma profondamente acritica. Essa era condotta, in nome dell'illusione rivoluzionaria,
secondo una pratica manifestamente riformista. Così l'ideologia
rivoluzionaria doveva essere stroncata dal successo stesso di coloro
che la sostenevano. La separazione dei deputati e dei giornalisti nel
movimento riconduceva verso il modo di vita borghese coloro che erano
stati già reclutati fra gli intellettuali borghesi. La
burocrazia sindacale costituiva in sensali della forza-lavoro, da
vendere come merce al suo giusto prezzo, gli stessi che venivano
reclutati a partire dalle lotte dei proletariato industriale e di
lì fatti uscire. Perché l'attività di tutti
costoro conservasse qualcosa di rivoluzionario, sarebbe stato
necessario che il capitalismo si fosse trovato opportunamente incapace
di sopportare economicamente
questo riformismo che tollerava politicamente nella loro agitazione
legalista. E' una simile incompatibilità che la loro scienza
garantiva, e che la storia smentiva ad ogni istante.
97. Questa contraddizione, della quale Bernstein,
essendo il socialdemocratico più distante dall'ideologia
politica e il più francamente aderente alla metodologia della
scienza borghese, ebbe l'onestà di voler mostrare la
realtà, mostrare - e il movimento riformista degli operai
inglesi, facendo a meno di un'ideologia rivoluzionaria, l'aveva
già mostrata - non doveva essere tuttavia dimostrata senza
repliche che dallo sviluppo stesso della storia. Bernstein, sebbene
pieno di illusioni sotto altri aspetti, aveva negato che una crisi
della produzione capitalistica sarebbe venuta miracolosamente a forzare
la mano ai socialisti che non volevano ereditare la rivoluzione che
mediante questa legittima consacrazione. Il movimento di profondo
sconvolgimento sociale che emerse con la prima guerra mondiale, anche
se fu fertile per la presa di coscienza, dimostrò per due volte
che la gerarchia socialdemocratica non aveva educato
rivoluzionariamente, non aveva reso teorici,
gli operai tedeschi: prima quando la grande maggioranza del partito si
allineò con la guerra imperialistica e in seguito quando, nella
disfatta, schiacciò i rivoluzionari spartachisti. L'ex-operaio
Ebert credeva ancora nel peccato, poiché confessava di odiare la
rivoluzione «come il peccato». E lo stesso dirigente si
mostrò un buon precursore della rappresentanza socialista,
che doveva poco dopo opporsi come nemico assoluto al proletariato della
Russia e del resto del mondo col formulare l'esatto programma di questa
nuova alienazione: «Socialismo vuol dire lavorare molto».
98. Lenin non è stato, come pensatore marxista, che il kautskista fedele e conseguente che applicava l'ideologia rivoluzionaria
di questo «marxismo ortodosso» nelle condizioni russe;
condizioni che non permettevano la pratica riformista che la Seconda
internazionale riformista portava in contropartita. La direzione esterna
del proletariato, agendo attraverso un partito clandestino
disciplinato, sottomesso agli intellettuali divenuti
«rivoluzionari di professione», costituisce qui una
professione che non vuole patteggiare con nessuna professione dirigente
della società capitalistica (e il regime politico zarista era
d'altra parte incapace di offrire una tale apertura, la cui base
è uno stadio avanzato del potere della borghesia). Essa diviene
dunque la professione della direzione assoluta della società.
99. Il radicalismo ideologico autoritario dei bolscevichi si è
sviluppato su scala mondiale con la guerra e con l'affondamento della
socialdemocrazia internazionale davanti alla guerra. La fine sanguinosa
delle illusioni democratiche del movimento operaio aveva fatto del
mondo intero una Russia, e il bolscevismo, regnando sul primo varco
rivoluzionario che questa epoca di crisi aveva originato, offriva al
proletariato di tutti i paesi il proprio modello gerarchico e
ideologico, per «parlare in russo» alla classe dominante.
Lenin non ha rimproverato al marxismo della Seconda internazionale di
essere un'ideologia rivoluzionaria, ma di aver cessato di esserlo.
100. Lo stesso momento storico in cui il bolscevismo ha trionfato per se stesso in Russia, e dove la socialdemocrazia ha combattuto vittoriosamente per il vecchio mondo, segna la nascita definitiva di un ordine di cose che è al centro del dominio dello spettacolo moderno: la rappresentanza operaia si è opposta radicalmente alla classe.
101. «In tutte le rivoluzioni anteriori - scriveva Rosa Luxemburg in Rote Fahne
del 21 dicembre 1918 - i combattenti si affrontavano a viso scoperto:
classe contro classe, programma contro programma. Nella rivoluzione
presente le truppe di protezione del vecchio ordine non intervengono
sotto le insegne delle classi dirigenti, ma sotto la bandiera di un
"partito socialdemocratico". Se la questione centrale della rivoluzione
fosse posta apertamente e onestamente: capitalismo o socialismo, nessun
dubbio, nessuna esitazione sarebbero oggi possibili nella grande massa
del proletariato». Così, qualche giorno prima della sua
distruzione, la corrente radicale del proletariato tedesco scopriva il
segreto delle nuove condizioni che aveva creato tutto il processo
anteriore (e al quale aveva grandemente contribuito la rappresentanza
operaia): l'organizzazione spettacolare della difesa dell'ordine
esistente, il regno sociale delle apparenze in cui nessuna
«questione centrale» può più essere
posta «apertamente e onestamente». La rappresentanza
rivoluzionaria del proletariato, a questo stadio, era divenuta
contemporaneamente il fattore principale e il risultato centrale della
falsificazione generale della società.
102. L'organizzazione del proletariato sul modello bolscevico, era nata
dall'arretratezza russa e dalla rinuncia alla lotta rivoluzionaria da
parte del movimento operaio dei paesi avanzati, incontrò anche
nell'arretramento russo tutte le condizioni che portavano questa forma
d'organizzazione verso il rovesciamento controrivoluzionario che essa
inconsciamente già conteneva nel proprio germe originario; e la
rinuncia reiterata della massa del movimento operaio europeo davanti al hic Rhodus, hic salta
del periodo 1918-1920 - rinuncia che implicava la distruzione violenta
della propria minoranza radicale - favori lo sviluppo completo del
processo e lasciò che il suo risultato menzognero si affermasse
davanti al mondo come la sola soluzione proletaria. La conquista del
monopolio statale della rappresentanza e della difesa del potere
operaio, che giustificò il partito bolscevico, lo fece divenire ciò che era: il partito dei proprietari del proletariato, eliminando per l'essenziale le precedenti forme di proprietà.
103. Tutte le condizioni della liquidazione dello zarismo delineate nel
dibattito teorico sempre insoddisfacente delle diverse tendenze della
socialdemocrazia russa per vent'anni - debolezza della borghesia, peso
della maggioranza contadina, ruolo decisivo di un proletariato
concentrato e combattivo ma estremamente minoritario nel paese -
rivelarono infine nella pratica la loro soluzione, attraverso un dato
che non era presente nelle ipotesi: la burocrazia rivoluzionaria che
dirigeva il proletariato, impadronendosi dello Stato, diede alla
società un nuovo dominio di classe. La rivoluzione strettamente
borghese non era possibile; la «dittatura democratica degli
operai e dei contadini» era priva di senso; il potere proletario
dei soviet non poteva mantenersi contemporaneamente contro la classe
dei contadini proprietari, la reazione bianca nazionale e
internazionale, e la sua stessa rappresentanza esteriorizzata e
alienata in partito operaio dei padroni assoluti dello Stato,
dell'economia, di ogni forma di espressione e presto anche del
pensiero. La teoria della rivoluzione permanente di Trotsky e Parvus,
alla quale Lenin aveva effettivamente aderito nell'aprile 1917, era la
sola a divenire vera per i paesi arretrati nei confronti dello sviluppo
sociale della borghesia, ma soltanto dopo l'introduzione di questo
fattore sconosciuto che era il potere di classe della burocrazia. La
concentrazione della dittatura nelle mani della rappresentanza suprema
dell'ideologia fu difesa nel modo più coerente da Lenin, nei
numerosi scontri all'interno della direzione bolscevica. Lenin aveva
ogni volta ragione contro i suoi avversari per il fatto di sostenere la
soluzione implicata dalle precedenti scelte del potere minoritario
assoluto: la democrazia rifiutata statalmente
ai contadini doveva esserlo anche agli operai, ciò che portava a
rifiutarla ai dirigenti comunisti dei sindacati, dunque in tutto il
partito, e infine anche al vertice della gerarchia del partito. Al X
Congresso, nel momento in cui il soviet di Kronstadt veniva abbattuto
con le armi e sepolto sotto le calunnie, Lenin pronunciava contro i
burocrati di sinistra organizzati in «Opposizione Operaia»
questa conclusione, di cui Stalin avrebbe poi in seguito esteso la
logica fino a una perfetta divisione del mondo: «Qua o là
con un fucile, ma non con l'opposizione... Ne abbiamo abbastanza
dell'opposizione».
104. La burocrazia rimasta unica proprietaria di un capitalismo di Stato,
si è dapprima assicurata il potere mezzo di un'alleanza
temporanea con la classe contadina, dopo Kronstadt, al momento della
«nuova politica economica», mentre l'ha difeso all'esterno
utilizzando gli operai irreggimentati nei partiti burocratici della
Terza internazionale, come forza d'appoggio della diplomazia russa, per
sabotare ogni movimento rivoluzionario e sostenere i governi borghesi,
sul cui sostegno poteva contare in politica internazionale (il potere
del Kuomintang nella Cina del 1925-27, il Fronte Popolare in Spagna e
in Francia ecc.). Ma la società burocratica doveva perseguire il
proprio compimento attraverso il terrore esercitato sulle masse
contadine, per realizzare l'accumulazione primitiva di capitale
più brutale della storia. Questa industrializzazione
dell'epoca staliniana rivela la realtà ultima della burocrazia:
essa è la continuazione del potere dell'economia, il
salvataggio dell'essenziale della società mercantile
che mantiene il lavoro-merce. E' la prova offerta dall'economia
indipendente, che domina la società al punto di ricreare per i
propri fini il dominio di classe che le è necessario: il che
equivale a dire che la borghesia ha creato una potenza autonoma la
quale, fintanto che sussiste questa autonomia, può
arrivare al punto di fare a meno di una borghesia. La
burocrazia totalitaria non è «l'ultima classe
proprietaria della storia», nel senso che le attribuiva Bruno
Rizzi, ma solamente una classe dominante di sostituzione per l'economia
mercantile. La proprietà privata capitalistica venuta meno viene
sostituita da un sottoprodotto semplificato, meno diversificato,
concentrato in proprietà collettiva della classe burocratica. Questa
forma sottosviluppata di classe dominante è anche l'espressione del
sottosviluppo economico; e non ha altra prospettiva che quella di
recuperare il ritardo di questo sviluppo in alcune regioni del mondo. E'
stato il partito operaio, organizzato secondo il modello borghese della
separazione, a fornire l'impianto gerarchico-statale a questa edizione
supplementare della classe dominante. Anton Ciliga scriveva in una
prigione di Stalin che «le questioni tecniche di organizzazione si
rivelavano essere delle questioni sociali» (Lenin e la Rivoluzione).
105. L'ideologia rivoluzionaria, la coerenza del separato
di cui il leninismo costituisce il più alto sforzo
volontaristico, detenendo la gestione di una realtà che la
respinge, con lo stalinismo tornerà alla sua verità nell'incoerenza.
A questo punto l'ideologia non è più un'arma, ma un fine.
La menzogna che non è più contraddetta diventa follia. La
realtà, così come lo scopo, vengono dissolti nella
proclamazione ideologica totalitaria: tutto ciò che essa dice
è tutto ciò che è. E' un primitivismo locale dello
spettacolo, il cui ruolo è tuttavia essenziale nello sviluppo
dello spettacolo mondiale. L'ideologia che qui si materializza non ha
trasformato economicamente il mondo, come il capitalismo giunto allo
stadio dell'abbondanza; essa ha solamente trasformato poliziescamente la percezione.
106. La classe ideologico-totalitaria al potere è il potere di
un mondo rovesciato; più essa è forte, più afferma
che non esiste, e la sua forza le serve prima di tutto ad affermare la
sua inesistenza. Essa è modesta su questo solo punto,
perché la sua inesistenza ufficiale deve anche coincidere col nec plus ultra
dello sviluppo storico, che al tempo stesso sarebbe dovuto al suo
infallibile comando. Operante dappertutto, la burocrazia deve essere la
classe invisibile per la
coscienza, di modo che è poi tutta la vita sociale che diviene
demente. L'organizzazione sociale della menzogna assoluta deriva da
questa contraddizione fondamentale.
107. Lo stalinismo fu il regno del terrore nella classe burocratica
stessa. Il terrorismo che fonda il potere di questa classe deve colpire
anche questa classe, perché essa non possiede nessuna garanzia
giuridica, nessuna esistenza riconosciuta in quanto classe
proprietaria, che possa estendere a ciascuno dei suoi membri. La sua
proprietà reale è dissimulata, ed essa non è
divenuta proprietaria che per la via della falsa coscienza. La falsa
coscienza mantiene il proprio potere assoluto solo attraverso il
terrore assoluto, in cui ogni vero motivo finisce per perdersi, l
membri della classe burocratica al potere non hanno diritto di possesso
sulla società che collettivamente, in quanto partecipi di una
fondamentale menzogna: bisogna che essi recitino il ruolo del
proletariato che dirige una società socialista: che siano gli
attori fedeli al testo dell'infedeltà ideologica. Ma l'effettiva
partecipazione a questo essere menzognero deve vedersi al tempo stesso
riconosciuta come una partecipazione veridica. Nessun burocrate
può sostenere individualmente il proprio diritto al potere,
perché provare che egli è un proletario socialista
significherebbe manifestarsi come il contrario di un burocrate; e
provare che egli è un burocrate è impossibile,
poiché la verità ufficiale della burocrazia è di
non essere. Così ogni burocrate si trova a dipendere in modo
assoluto da una garanzia centrale dell'ideologia, che riconosce una partecipazione collettiva al suo «potere socialista» da parte di tutti i burocrati che essa non annienta.
Se i burocrati presi nel loro complesso decidono su tutto, la coesione
stessa della loro classe non può essere assicurata che
attraverso la concentrazione del loro potere terroristico in una sola
persona. In questa persona risiede la sola verità pratica della
menzogna al potere: la
fissazione indiscutibile della sua frontiera sempre rettificata. Stalin
decide senza appello chi è alla fine burocrate possidente:
cioè chi deve venire chiamato «proletario al potere»
oppure «traditore al soldo del Mikado o di Wall Street».
Gli atomi burocratici non trovano l'essenza comune del loro diritto se
non nella persona di Stalin. Stalin è questo sovrano del mondo
che si sa in questo modo come la persona assoluta, per la cui coscienza
non esiste spirito più alto. «Il sovrano del mondo
possiede la coscienza effettiva di ciò che egli è - della
potenza universale dell'effettualità, nella violenza
distruttrice che egli esercita contro il sé di coloro che lo
contrastano». Mentre è la potenza che definisce il terreno
del dominio, egli è nello stesso tempo «la potenza che devasta questo terreno».
108. Quando l'ideologia, diventata assoluta con il possesso del potere
assoluto, è mutata da una conoscenza parcellare in menzogna
totalitaria, il pensiero della storia è stato così
perfettamente annientato che la storia stessa, a livello della
conoscenza più empirica, non può più esistere. La
società burocratica totalitaria vive in un presente perpetuo, in
cui tutto ciò che è avvenuto esiste soltanto per
essa, come spazio accessibile alla sua polizia. Il progetto, già
formulato da Napoleone, di «dirigere monarchicamente l'energia
dei ricordi» ha trovato la sua concretizzazione totale, in una
manipolazione permanente del passato, non soltanto nei significati, ma
nei fatti. Ma il prezzo di questa liberazione da ogni realtà
storica è la perdita del riferimento razionale che è
indispensabile alla società storica
del capitalismo. Si sa ciò che l'applicazione
scientifica dell'ideologia, divenuta folle, è potuta costare
all'economia russa, non fosse che con l'impostura di Lyssenko. Questa
contraddizione della burocrazia totalitaria che amministra una
società industrializzata, presa fra il suo bisogno del razionale
e il suo rifiuto del razionale, costituisce anche una delle sue
principali deficienze nei confronti del normale sviluppo capitalistico.
Come, in rapporto ad esso, la burocrazia non può
risolvere la questione dell'agricoltura, così gli è
finalmente inferiore nella produzione industriale, pianificata
autoritariamente sulle basi dell'irrealismo e della menzogna
generalizzata.
109. Il movimento operaio rivoluzionario, del periodo fra le due
guerre, fu annientato dall'azione congiunta della burocrazia
stalinista e del totalitarismo fascista, che aveva preso a prestito la
propria forma organizzativa dal partito sperimentato in Russia. Il
fascismo ha
costituito una difesa estremistica dell'economia borghese, minacciata
dalla crisi e dalla sovversione proletaria, lo stato d'assedio nella
società capitalistica, attraverso cui questa società si
salva e si dà d'urgenza una prima razionalizzazione, facendo
intervenire massicciamente lo Stato nella sua gestione. Ma una tale
razionalizzazione è essa stessa gravata dell'immensa
irrazionalità del suo mezzo. Se il fascismo si pone a difesa dei
principali punti dell'ideologia borghese divenuta conservatrice (la
famiglia, la proprietà, l'ordine morale, la nazione), riunendo
la piccola borghesia e i disoccupati impazziti dalla crisi o delusi
dell'impotenza della rivoluzione socialista, non è esso stesso
sostanzialmente ideologico. Esso si dà per quello che è:
una violenta resurrezione del mito,
che esige la partecipazione a una comunità definita da
pseudovalori arcaici: la razza, il sangue, il capo. Il fascismo
è l'arcaismo tecnicamente equipaggiato. Il surrogato
decomposto dal mito, ripreso nel contesto spettacolare dei mezzi di
condizionamento e di illusione più moderni. Così, esso
è uno dei fattori nella formazione del moderno spettacolare,
nella misura in cui la sua parte nella distruzione del vecchio
movimento operaio fa di lui una delle potenze fondatrici della presente
società; ma dato che il fascismo viene ad essere anche la forma più costosa
del mantenimento dell'ordine capitalistico, avrebbe dovuto normalmente
abbandonare il fronte della scena che occupano i grandi ruoli degli
Stati capitalistici, per essere sostituito da forme più
razionali e più forti di questo stesso ordine.
110. Quando la burocrazia russa è riuscita finalmente a disfarsi
delle tracce della proprietà borghese, che intralciavano il suo
dominio sull'economia, a sviluppare questa per il proprio uso, e ad
essere riconosciuta all'esterno tra le grandi potenze, essa vuole
godere tranquillamente del proprio mondo e sopprimere quella parte di
arbitrio che si esercitava su essa stessa: essa denuncia lo stalinismo
della sua origine. Ma una tale denuncia rimane stalinista, arbitraria,
inesplicata e continuamente corretta, perché la menzogna ideologica della sua origine non può mai essere rivelata.
In questo modo la burocrazia non può liberalizzarsi né
culturalmente né politicamente, perché la sua esistenza
come classe dipende dal suo monopolio ideologico che, con tutta la sua
pesantezza, è il suo solo titolo di proprietà.
L'ideologia ha certamente perduto la passione per la sua affermazione
positiva, ma ciò che ne sussiste di trivialità
indifferente ha ancora questa funzione repressiva di proibire anche la
minima concorrenza, di dominare la totalità del pensiero. La
burocrazia è così legata a un'ideologia che non è
più creduta da nessuno. Ciò che era terroristico è
divenuto derisorio, ma questa stessa derisione non può
mantenersi che conservando in secondo piano il terrorismo di cui
vorrebbe disfarsi. Così, nel momento stesso in cui la burocrazia
vuole mostrare la propria superiorità sul terreno del
capitalismo, essa si rivela un parente povero
del capitalismo. Come la sua storia effettiva è in
contraddizione col suo diritto, e la sua ignoranza grossolanamente
mantenuta in contraddizione con le sue pretese scientifiche, il suo
progetto di rivaleggiare con la borghesia nella produzione di
un'abbondanza mercantile è ostacolato dal fatto che
un'abbondanza del genere porta in se stessa la propria ideologia
implicita e si accompagna normalmente a una libertà
indefinitamente estesa di false scelte spettacolari,
pseudolibertà che rimane inconciliabile con l'ideologia
burocratica.
111. A questo stadio dello sviluppo, il titolo di proprietà
ideologica della burocrazia comincia già a crollare a livello
internazionale. Il potere che si era costituito nazionalmente in quanto
modello fondamentalmente internazionalistico deve ammettere che non
può più pretendere di mantenere la propria coesione
menzognera al di là d'ogni frontiera nazionale. L'ineguale
sviluppo economico conosciuto dalle burocrazie, con i loro interessi
concorrenti, che sono riuscite a possedere il proprio
«socialismo» al di fuori di un solo paese, ha condotto ad
affrontarsi pubblicamente e completamente la menzogna russa e la
menzogna cinese. A partire da questo punto, ogni burocrazia al potere,
ovvero ogni partito totalitario candidato al potere lasciato dal
periodo staliniano in alcune classi operaie nazionali, deve seguire la
propria strada. Unendosi alle manifestazioni di negazione interna che
hanno cominciato ad affermarsi davanti al mondo con la rivolta operaia
di Berlino-Est, che opponeva ai burocrati la propria esigenza di
«un governo di metallurgici», e che sono già
arrivate una volta fino al potere dei consigli operai in Ungheria, la
decomposizione mondiale dell'alleanza della mistificazione burocratica
è, in ultima analisi, il fattore più sfavorevole
all'attuale sviluppo della società capitalistica. La borghesia
sta perdendo l'avversario che la sosteneva oggettivamente unificando
illusoriamente ogni negazione dell'ordine esistente. Una tale divisione
del lavoro spettacolare vede la propria fine quando il ruolo
pseudorivoluzionario si divide a sua volta. L'elemento spettacolare
della dissoluzione del movimento operaio sta per essere esso stesso
dissolto.
112. L'illusione leninista nelle diverse tendenze non ha più
altra base attuale se non trotskiste, in cui l'identificazione del
progetto proletario con un'organizzazione gerarchica dell'ideologia
sopravvive solidamente all'esperienza dei suoi risultati. La distanza
che separa il trotskismo dalla critica rivoluzionaria della presente
società, è ciò che gli permette anche di osservare
la distanza rispettosa nei confronti di posizioni che erano già
false quando si consumarono in un conflitto reale. Trotsky è
rimasto fino al 1927 fondamentalmente solidale con l'alta burocrazia,
sempre cercando di impadronirsene per farle riprendere un'azione
realmente bolscevica all'esterno (si sa che in quel momento, per
aiutare a dissimulare il famoso «testamento di Lenin», egli
arrivò fino a sconfessare calunniosamente il suo partigiano e
amico Max Eastman che l'aveva divulgato). Trotsky è stato
condannato dalla sua prospettiva di fondo, perché dal momento in
cui la burocrazia si riconosce nel proprio risultato come classe
controrivoluzionaria all'interno, essa deve anche scegliere d'essere
effettivamente controrivoluzionaria all'esterno in nome della
rivoluzione, come a casa propria.
L'ulteriore lotta di Trotsky per una Quarta internazionale contiene la
stessa incoerenza. Egli ha rifiutato per tutta la vita di riconoscere
nella burocrazia il potere di una classe separata, perché era
diventato, durante la Seconda rivoluzione russa, il partigiano
incondizionato della forma bolscevica di organizzazione. Quando
Lukàcs, nel 1923, indicava in questa forma la mediazione
finalmente trovata fra la teoria e la pratica, dove i proletari cessano
d'essere «spettatori»
degli eventi sopraggiunti nella loro organizzazione, che essi hanno
coscientemente scelti e vissuti, descriveva come meriti effettivi del
partito bolscevico tutto ciò che il partito bolscevico non era.
Lukàcs era ancora, a fianco del suo profondo lavoro teorico, un
ideologo, che parlava a nome del potere più volgarmente esterno
al movimento proletario, credendo e facendo credere di trovarsi egli
stesso, con la sua totale personalità in questo potere come nel suo proprio.
Quando il seguito degli eventi mostrò in che modo questo potere
sconfessa e sopprime i suoi valletti, Lukàcs, sconfessandosi
egli stesso senza fine, ha mostrato con nettezza caricaturale con che
cosa egli si era identificato: con il contrario di se stesso e di ciò che aveva sostenuto in Storia e coscienza di classe.
Lukàcs verifica alla meglio la regola fondamentale che giudica
tutti gli intellettuali di questo secolo: ciò che essi
rispettano misura esattamente la loro realtà disprezzabile.
Lenin del resto non aveva affatto incoraggiato questo genere di
illusioni sulla propria attività; conveniva che «un
partito politico non può esaminare i propri membri per vedere se
vi sono delle contraddizioni fra la loro filosofia e il programma del
partito». Il partito reale, di cui Lukàcs aveva presentato
prontamente il ritratto sognato, non era coerente se non per un compito
preciso e parziale: impadronirsi del potere dello Stato.
113. L'illusione neoleninista dell'attuale trotskismo, dato
che viene ad ogni momento smentita dalla realtà della
società capitalistica moderna, sia borghese che
burocratica, trova naturalmente un campo di applicazione privilegiato
nei paesi «sottosviluppati» formalmente indipendenti,
in cui l'illusione di una qualsiasi variante di socialismo statale e
burocratico viene coscientemente manipolata come la semplice ideologia dello sviluppo economico
dalle classi dirigenti locali. La composizione ibrida di queste classi
si ricollega più o meno nettamente ad una gradazione dello
spettro borghesia-burocrazia. Il loro gioco su scala internazionale,
fra questi due poli del potere capitalistico esistente, non meno dei
loro compromessi ideologici - soprattutto con l'islamismo - esprimendo
la realtà ibrida della loro base sociale, finiscono per levare a
quest'ultimo sottoprodotto del socialismo ideologico ogni
serietà che non sia poliziesca. Una burocrazia ha potuto
formarsi inquadrando la lotta nazionale e la rivolta agraria dei
contadini: essa tende allora, come in Cina, ad applicare il modello di
industrializzazione staliniano in una società meno sviluppata
della Russia del 1917. Una burocrazia capace di industrializzare la
nazione può formarsi a partire dalla piccola borghesia, dai
quadri dell'esercito che si impadroniscono del potere, come dimostra
l'esempio dell'Egitto. In alcuni casi, come l'Algeria al termine della
guerra d'indipendenza, la burocrazia, che si è costituita come
direzione parastatale durante la lotta, cerca il punto di equilibrio in
un compromesso che le consenta di fondersi con una debole borghesia
nazionale. Infine, nelle vecchie colonie dell'Africa nera che restano
apertamente legate alla borghesia occidentale, americana ed europea,
viene a costituirsi una borghesia - il più delle volte a partire
dalla potenza dei capi tradizionali del tribalismo - attraverso il possesso dello Stato:
in questi paesi in cui l'imperialismo straniero rimane il vero padrone
dell'economia, si afferma uno stadio in cui i compradores hanno
ricevuto a compenso della loro vendita dei prodotti indigeni, la
proprietà di uno Stato indigeno, indipendente di fronte alle
masse locali, ma non di fronte all'imperialismo. In questo caso, si
tratta di una borghesia artificiale che non è capace di
accumulare, ma che semplicemente dilapida,
sia la parte di plusvalore del lavoro locale che ne ricava che i
sussidi stranieri degli Stati o monopoli che sono i suoi protettori.
L'evidenza dell'incapacità di queste classi borghesi di
provvedere alla normale funzione economica della borghesia fa sorgere
di fronte a ognuna di esse una sovversione sul modello burocratico,
più o meno adattato alle particolarità locali, che vuole
prenderne l'eredità. Ma la riuscita stessa di una burocrazia nel
suo progetto fondamentale di industrializzazione contiene
necessariamente la prospettiva della sua disfatta storica: accumulando
il capitale, essa accumula il proletariato, e crea la propria smentita,
in un paese in cui questo non esisteva ancora.
114. In questo sviluppo complesso e terribile che ha portato l'epoca
delle lotte di classe verso nuove condizioni, il proletariato dei paesi
industriali ha completamente perduto l'affermazione della propria
prospettiva autonoma e, in ultima analisi, le proprie illusioni,
ma non il proprio essere. Esso non è stato soppresso. Rimane
irriducibilmente esistente nell'alienazione intensificata del
capitalismo moderno: si trova ad essere l'immensa maggioranza dei
lavoratori che hanno perduto ogni potere sull'impiego della propria
vita, e che, dal momento che lo sanno,
si ridefiniscono come il proletariato, il negativo all'opera in questa
società. Questo proletariato è oggettivamente rafforzato
dal movimento di scomparsa della classe contadina, come dall'estensione
della logica del lavoro in fabbrica che si applica a gran parte dei
«servizi» e delle professioni intellettuali. E' soggettivamente
che questo proletariato è ancora lontano dalla propria coscienza
pratica di classe, non solo per ciò che riguarda gli impiegati,
ma anche relativamente agli operai che non hanno ancora scoperto se non
l'impotenza e la mistificazione della vecchia politica. Tuttavia,
quando il proletariato scopre che la propria forza esteriorizzata
concorre al rafforzamento permanente della società
capitalistica, non solo nella forma del proprio lavoro, ma anche nella
forma dei sindacati, dei partiti o della potenza statale che aveva
costituito per emanciparsi, esso scopre anche attraverso l'esperienza
storica concreta di essere la classe totalmente nemica di ogni
esteriorizzazione congelata e di ogni specializzazione del potere. Esso
porta la rivoluzione che non può lasciare niente all'esterno di se stessa,
porta l'esigenza del dominio permanente del presente sul passato e la
critica totale della separazione; ed è questo ciò di cui
deve trovare la formula adeguata nell'azione. Nessun miglioramento
quantitativo della sua miseria, nessuna illusione di integrazione
gerarchica sono un rimedio durevole per la sua insoddisfazione,
perché il proletariato non può riconoscersi con
verità in un particolare torto che avrebbe subito né
dunque nella riparazione di un torto particolare, né in un gran numero di questi torti, ma solamente nel torto assoluto di essere rigettato ai margini della vita.
115. Dai nuovi segni di negazione, incompresi e falsificati dal sistema
spettacolare, che si moltiplicano nei paesi economicamente più
avanzati, si può già trarre la conclusione che una nuova
epoca si è aperta: dopo il primo tentativo di sovversione
operaia, è ora l'abbondanza capitalistica che è fallita.
Quando le lotte antisindacali degli operai occidentali sono represse
prima di tutto dai sindacati, e quando le correnti in rivolta della
gioventù lanciano una prima protesta informe, nella quale
tuttavia il rifiuto della vecchia politica specializzata, dell'arte e
della vita quotidiana, è immediatamente implicito, sono queste
le due facce di una nuova lotta spontanea che comincia sotto l'aspetto criminale.
Sono i segni precursori del secondo assalto proletario contro la
società di classe. Quando i figli perduti di questo esercito
ancora immobile riappaiono su questo terreno, divenuto diverso e
rimasto lo stesso, seguono un nuovo «generale Ludd» che,
questa volta, li lancia nella distruzione delle macchine del consumo consentito.
116. «La forma politica finalmente scoperta nella quale
l'emanazione economica del lavoro poteva venire realizzata» ha
acquistato in questo secolo una figura netta nei Consigli operai
rivoluzionari, che concentrarono in sé tutte le funzioni di
decisione e di esecuzione, e federandosi per mezzo di delegati
responsabili di fronte alla base e revocabili in ogni momento. La loro
effettiva esistenza non è stata che un breve abbozzo, subito
combattuto e vinto dalle diverse forze difensive della società
di classe, fra le quali bisogna spesso comprendere la propria falsa
coscienza. Pannekoek insisteva giustamente sul fatto che la scelta di
un potere dei Consigli operai «propone dei problemi»
piuttosto che apportare una soluzione. Ma questo potere è
precisamente il luogo dove i problemi della rivoluzione del
proletariato possono trovare la loro vera soluzione». Il luogo in
cui le condizioni oggettive della coscienza storica sono riunite; la
realizzazione della comunicazione diretta attiva, in cui finiscono la
specializzazione, la gerarchia e la separazione, in cui le condizioni
esistenti sono state trasformate «in condizioni di
unità». Qui il soggetto proletario può emergere
dalla sua lotta contro la contemplazione: la sua coscienza è
uguale all'organizzazione pratica che si è data, perché
questa stessa coscienza è inseparabile dall'intervento coerente
nella storia.
117. Nel potere dei Consigli, che deve soppiantare internazionalmente
ogni altro potere, il movimento proletario è il proprio
prodotto, e questo prodotto è il produttore stesso. Esso
è a se stesso il proprio fine. Soltanto là la negazione
spettacolare della vita è negata a sua volta.
118. L'apparizione dei Consigli fu la realtà più alta del
movimento proletario nel primo quarto del secolo, realtà che
rimane non considerata o travestita perché spariva col resto del
movimento che l'insieme dell'esperienza storica di allora smentiva ed
eliminava. Nel nuovo spazio della critica proletaria, questo risultato
appare come il solo punto non vinto del movimento vinto. La coscienza
storica che sa di avere in esso il suo solo spazio d'esistenza,
può riconoscerlo adesso, non più alla periferia di
ciò che rifluisce, ma al centro di ciò che sale.
119. Un'organizzazione rivoluzionaria esistente prima del potere dei
Consigli - e che dovrà trovare lottando la propria forma per
tutte queste ragioni storiche sa già che non rappresenta la classe. Essa deve soltanto riconoscersi come divisione radicale dal mondo della separazione.
120. L'organizzazione rivoluzionaria è l'espressione coerente
della teoria della prassi, che entra in comunicazione non-unilaterale
con le lotte pratiche, in divenire verso la teoria pratica. La sua
pratica è la generalizzazione della comunicazione e della
coerenza in queste lotte. Nel momento rivoluzionario del dissolvimento
della divisione sociale, questa organizzazione deve riconoscere il
proprio dissolvimento in quanto organizzazione separata.
121. L'organizzazione rivoluzionaria non può essere che la
critica unitaria della società, cioè una critica che non
scende a patti con nessuna forma di potere separato, in nessun punto
del mondo, e una critica pronunciata globalmente contro tutti gli
aspetti della vita sociale alienata. Nella lotta dell'organizzazione
rivoluzionaria contro la società di classe, le armi non sono
altro che l'essenza dei
combattenti stessi: l'organizzazione rivoluzionaria non può
riprodurre in se stessa le condizioni di scissione e di gerarchia che
sono quelle della società dominante. Essa deve lottare in
permanenza contro la sua deformazione nello spettacolo dominante. Il
solo limite della partecipazione alla democrazia totale
dell'organizzazione rivoluzionaria è il riconoscimento e
l'auto-appropriazione effettiva, da parte di tutti i suoi membri, della
coerenza della sua critica, coerenza che deve provarsi nella teoria
critica propriamente detta e nella relazione fra questa e
l'attività pratica.
122. Quando la realizzazione sempre più spinta dell'alienazione
capitalistica a lutti i livelli, rendendo sempre più difficile
ai lavoratori il riconoscere e nominare la loro propria miseria, li
pone nell'alternativa di rifiutare la totalità della propria miseria, o niente, l'organizzazione rivoluzionaria ha dovuto imparare che essa non può più combattere l'alienazione sotto forme alienate.
123. La rivoluzione proletaria è interamente sospera a questa
necessità che, per la prima volta, è la teoria in quanto
intelligenzsa della pratica umana che dev'essere riconosciuta e vissuta
dalle masse. Essa esige che gli operai diventino dialettici e iscrivano
il proprio pensiero nella pratica; essa cosi chiede agli uomini senza qualità
ben più di ciò che la rivoluzione borghese domandava agli
uomini qualificati, che essa delegava alla propria realizzazione:
perché la coscienza idcologica parziale, edificata da una parte
della classe borghese, aveva per base una parte centrale della vita sociale, l'economia nella quale questa classe era già al potere.
Lo sviluppo stesso della società di classe fino
all'organizzazione spettacolare della non-vita, porta dunque il
progetto rivoluzionario a diventare visibilmente ciò che era già essenzialmente.
124. La teoria rivoluzionaria è ora nemica di ogni ideologia rivoluzionaria, e sa di esserlo.
1. Marx a Engels, 7 dicembre 1867, in Marx-Engels, Opere complete,
XLII, Roma 1974, p. 443. La traduzione francese cit. da Debord presenta
alcune lievi differenze con l'edizione italiana [n.d.r.].