7. LA CONFIGURAZIONE DEL TERRITORIO
E chi diviene patrone di
una
città consueta a vivere libera, e non la disfaccia, aspetti
di
essere disfatto da quella; perché sempre ha per refugio,
nella
ribellione, el nome della libertà e gli ordini antiquii sua;
li
quali né per la lunghezza de' tempi né per
benefizii mai
si dimenticano. E per cosa che si faccia e si provvegga, se non si
disuniscono o dissipano gli abitatori, e' non sdimenticano quel nome
né quelli ordini...
Machiavelli, Il Principe
165. La produzione capitalistica ha unificato lo spazio, che non
è più limitato da società esterne.
Questa
unificazione è allo stesso tempo un processo estensivo e
intensivo di banalizzazione.
L'accumulo delle merci prodotte in serie
per lo spazio astratto del mercato, che doveva rompere tutte le
barriere regionali e legali, e tutte le restrizioni corporative del
Medioevo che mantenevano la qualità
della produzione
artigianale, doveva anche dissolvere l'autonomia e la
qualità
dei luoghi. Questo potere di omogeneizzazione è
l'artiglieria
pesante che ha fatto cadere tutte le muraglie della Cina.
166. E' per divenire sempre più identico a se stesso, per
avvicinarsi al massimo della monotonia immobile, che lo spazio libero
della merce è ormai in ogni istante modificato
e ricostruito.
167. Questa società che sopprime la distanza geografica
raccoglie interiormente la distanza, in quanto separazione spettacolare.
168. Sottoprodotto della circolazione delle merci, la circolazione
umana considerata come un consumo, il turismo, si riduce
fondamentalmente alla scelta di andare a vedere ciò che
è
diventato banale. La configurazione economica della frequentazione di
luoghi diversi è già per se stessa garanzia della
loro
equivalenza.
La stessa modernizzazione che dal viaggio ha ritirato il
tempo, gli ha anche ritirato la realtà dello spazio.
169. La società che modella tutto ciò che la
circonda ha
costruito la propria tecnica speciale per elaborare la base concreta di
questo insieme di compiti: lo stesso suo territorio. L'urbanistica
è presa di possesso dell'ambiente naturale e umano da parte
del
capitalismo che, sviluppandosi logicamente in dominio assoluto,
può e deve ora configurare la totalità dello
spazio come
proprio scenario.
170. La necessità capitalistica soddisfatta nell'urbanismo,
in quanto
glaciazione visibile della vita, può esprimersi - usando dei
termini hegeliani - come il predominio assoluto della
«placida
coesistenza dello spazio» sull'«inquieto divenire
nella
successione del tempo».
171. Se tutte le forze tecniche dell'economia capitalistica devono
essere comprese come operanti delle separazioni, nel caso
dell'urbanismo si ha a che fare con l'organizzazione della loro base
generale, con il trattamento del suolo che conviene alla loro
affermazione; con la tecnica stessa della separazione.
172. L'urbanismo è il compimento moderno del compito
ininterrotto che salvaguarda il potere di classe: il mantenimento
dell'atomizzazione dei lavoratori che le condizioni urbane di
produzione avevano pericolosamente riunito.
La lotta costante che ha
dovuto essere condotta contro tutti gli aspetti di questa
possibilità d'incontro trova nell'urbanismo il proprio
terreno
privilegiato. Lo sforzo di tutti i poteri costituiti, dopo le
esperienze della Rivoluzione francese, per accrescere i mezzi di
mantenimento dell'ordine nelle strade, culmina finalmente con la
soppressione delle strade stesse. «Con i mezzi di
comunicazione
di massa su grandi distanze, l'isolamento della popolazione si
è
rivelato un mezzo di controllo molto efficace», constata
Lewis
Mumford in La
città nella storia,
descrivendo «un mondo ormai a senso unico». Ma il
movimento
generale dell'isolamento, che costituisce la realtà
dell'urbanismo, deve anche contenere una reintegrazione controllata dei
lavoratori, secondo le necessità pianificabili della
produzione
e del consumo. L'integrazione nel sistema deve recuperare gli individui
in quanto individui isolati
insieme: le fabbriche, come le case della
cultura, i villaggi delle vacanze come «i grandi
agglomerati», sono organizzati in modo specifico ai fini di
questa pseudocollettività che accompagna anche l'individuo
isolato nella cellula
famigliare, ovvero l'impiego generalizzato dei
ricevitori del messaggio spettacolare fa sì che il suo
isolamento
si ritrovi popolato delle immagini dominanti, immagini che solo per
questo isolamento acquistano la loro piena potenza.
173. Per la prima volta una nuova architettura, che ad ogni epoca
precedente era riservata alla soddisfazione delle classi dominanti, si
trova direttamente destinata ai
poveri. La miseria formale e l'estensione gigantesca di
questa nuova esperienza di habitat provengono entrambe dal suo
carattere di massa, che è il portato sia della sua
destinazione che delle moderne condizioni di costruzione. La decisione autoritaria,
che configura astrattamente il territorio in territorio
dell'astrazione, è evidentemente al centro di queste moderne
condizioni di costruzione. La stessa architettura appare ovunque
incominci l'industrializzazione dei paesi sotto questo aspetto
arretrati, come terreno adeguato al nuovo genere di esistenza sociale
che si tratta di impiantarvi. Altrettanto nettamente che nelle
questioni dell'armamento termonucleare o della natalità -
riscontrando già in quest'ultima la possibilità
di una manipolazione dell'ereditarietà - la soglia varcata
nell'aumento del potere materiale della società, e il ritardo del dominio
cosciente di questo potere, sono evidenti nell'urbanismo.
174. Il momento presente è già quello
dell'autodistruzione del centro urbano. L'esplosione delle
città sulle campagne ricoperte di «masse informi
di residui urbani» (Lewis Mumford) è, in forma
immediata, determinata dagli imperativi del consumo. La dittatura
dell'automobile, prodotto-pilota della prima fase dell'abbondanza
mercantile, si e iscritta nel terreno col dominio dell'autostrada, che
disgrega i vecchi centri e presiede a una dispersione sempre
più ampia. Allo stesso tempo, i momenti di riorganizzazione
incompiuta del tessuto urbano si polarizzano in modo precario intorno
alle «fabbriche di distribuzione» che sono i supermarket giganti
costruiti su un terreno nudo, su uno zoccolo di parking; e questi
templi del consumo rapido sono essi stessi in fuga nel movimento
centrifugo che li respinge lontano, man mano che divengono a loro volta
dei centri secondari sovraccarichi, dato che hanno portato a una
parziale composizione dell'agglomerato. Ma l'organizzazione tecnica del
consumo non è che al primo posto nell'ambito della
dissoluzione generale, che ha portato in questo modo la
città a
consumare se stessa.
175. La storia economica che si è interamente sviluppata
attorno alla contrapposizione città-campagna, è
giunta a uno stadio di successo che annulla contemporaneamente i due
termini. L'attuale paralisi
dello sviluppo storico totale, a vantaggio della prosecuzione esclusiva
del movimento indipendente dell'economia, fa del momento in cui
cominciano a sparire la città e la campagna, non il superamento della
loro scissione ma il loro simultaneo disfacimento. L'usura reciproca
della città e della campagna, prodotto della mancanza del
movimento storico, attraverso cui la realtà urbana esistente
dovrebbe essere superata, si mostra nell'eclettica mescolanza dei loro
elementi decomposti, che invade le zone più avanzate
nell'industrializzazione.
176. La storia universale è nata nelle città ed
è divenuta maggiorenne nel momento della decisiva vittoria
della città sulla campagna. Marx considera come uno dei
più grandi meriti rivoluzionari della borghesia il fatto che
«essa ha sottomesso la campagna alla
città», dove l'aria
emancipa. Ma se la storia della città
è la storia della libertà, è stata
però anche quella della tirannia, dell'amministrazione
statale che controlla la campagna e la stessa città. La
città non ha potuto essere altro che il terreno di lotta
della libertà storica, e non il suo possesso. La
città è l'ambiente
della storia perché è
contemporaneamente concentramento del potere sociale, che rende
possibile l'impresa storica, e coscienza del passato. La presente
tendenza alla liquidazione della città non fa dunque che
esprimere in altro modo il ritardo di una subordinazione dell'economia
alla coscienza storica, di una unificazione della società
riappropriatasi dei poteri che si sono staccati da essa.
177. «La campagna mostra proprio il fatto opposto,
l'isolamento e la divisione» (L'ideologia tedesca).
L'urbanismo che distrugge le città ricostituisce una pseudocampagna,
nella quale sono perduti sia i rapporti naturali della vecchia campagna
sia i rapporti sociali diretti e direttamente messi in questione della
città storica. E' un nuovo contadiname fittizio quello che
le condizioni di habitat e di controllo spettacolare ricreano
nell'attuale «territorio programmato»: la
dispersione nello spazio e la mentalità ristretta che hanno
sempre impedito al contadiname d'intraprendere un'azione indipendente e
di affermarsi come potenza storica creatrice, ridiventano la
caratterizzazione dei produttori - il movimento di un mondo da essi
stessi fabbricato rimanendo non meno completamente fuori della loro
portata di quanto lo fosse il ritmo naturale dei lavori per la
società agraria. Ma ora che questo contadiname, che era
stato la base incrollabile del «dispotismo
orientale» e il cui sgretolamento stesso aveva richiesto la
centralizzazione burocratica, è riapparso come prodotto
delle condizioni di crescita della burocratizzazione statale moderna,
la sua apatia
ha dovuto essere storicamente
fabbricata e stabilizzata: l'ignoranza naturale ha fatto
posto allo spettacolo organizzato dell'errore. Le
«città nuove» dello pseudocontadiname
tecnologico iscrivono chiaramente nel terreno la rottura col tempo
storico sul quale esse sono costruite; la loro insegna potrebbe essere:
«Qui, non succederà mai niente, e niente è mai
successo». Evidentemente, è proprio
perché la storia, che bisogna liberare nelle
città non vi è ancora stata liberata, che le
forze dell'assenza
storica incominciano a delineare il loro paesaggio
esclusivo.
178. La storia che minaccia questo mondo crepuscolare è
anche la forza che può sottomettere lo spazio al tempo
vissuto. La rivoluzione proletaria è questa critica della geografia umana
attraverso la quale gli individui e le comunità devono
costruire i luoghi e gli avvenimenti corrispondenti all'appropriazione,
non più soltanto del loro lavoro, ma della loro storia
totale. In questo spazio mobile del gioco, e delle variazioni delle
regole del gioco liberamente scelte, l'autonomia del luogo
può ritrovarsi, senza reintrodurre un attaccamento esclusivo
al suolo, e restituire in tal modo la realtà del viaggio e
della vita intesa come un viaggio ha in se stesso tutto il proprio
senso.
179. La più grande idea rivoluzionaria a proposito
dell'urbanizzazione non è essa stessa urbanistica,
tecnologica o estetica. E' la decisione di ricostruire il territorio
secondo i bisogni del potere dei Consigli dei lavoratori, della
dittatura antistatale del proletariato, del dialogo esecutorio. E il
potere dei Consigli, che non può essere effettivo se non
trasformando la totalità delle condizioni esistenti, non
potrà assegnarsi un compito inferiore se vuole essere
riconosciuto e riconoscersi
esso stesso nel proprio mondo.